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Metal Box

1979, Virgin/Warner/Island
Post Punk/New Wave

Della serie "recensioni impossibili". Compie oggi 36 anni.
Recensione di Francesco De Sandre - Pubblicata in data: 22/11/15

John Lydon è pazzo (anche) perché nel 1979 i Sex Pistols erano finiti e i PIL erano già iniziati. Inimmaginabile dagli ‘80 in poi un cratere compositivo indipendente di queste proporzioni, nonostante furono queste le basi per la Dance Music. Erano giunti, i PIL, alla Second Edition della loro proposta artistica. Ma i suoni, seppur rumori, seppur grida, il lato opposto e avido del Prog smaterializzato e limato all'inverosimile, non sono tutto. E non possono esserlo, perché per essere attratti da un album del genere, quasi inascoltabile perché realmente difficile e non concepito per l'uomo sano, la scintilla scatta prima negli occhi ne nelle orecchie.

 

Difficile stabilire se sia stato creato per collezionismo, contemplazione, ascolto inerme, provocazione, per soddisfare una follia o per inscatolare la tendenza del momento. Metal Box - di cui non si dispone di una cover ufficiale, cosa che specie per le webzine alimenta il mito (o l'astio) del prodotto - appare come una pizza metallica contenente più dischi dalle mille propagazioni. Angoscia, pigrizia, rabbia soffocata e repressione si mangiano a vicenda in un vortice lento. È la calma a prevalere, quella ritmica e dettata. Smarrirsi è d'obbligo. Ogni tanto si inciampa in attimi regolari o in laghi dei cigni fulminei e opprimenti. Inconcepibile un progetto del genere per i nostri tempi.





Lato 1

Albatross

Lato 2

Memories
Swan Lake

Lato 3

Poptones
Careering

Lato 4

No Birds
Graveyard

Lato 5

The Suit
Bad Baby

Lato 6

Socialist
Chant
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