Torna l'autunno e tornano a farsi vivi anche i suoi poeti: a due anni dal precedente "Temple Of Thought", Marko Saaresto e soci, conosciuti appunto nel settore come Poets Of The Fall, giungono con "Jealous Gods" alla loro sesta fatica in studio, provando a rivitalizzare un sound sì dal facile appeal, ma da un po' di anni incartato in una limitante staticità.
E le carte in tavola, in effetti, vengono adeguatamente mischiate: l'opener "Daze" aggiunge alle immancabili melodie tastieristiche (tipiche dei finlandesi forse ancor più dei denti sanissimi) un andamento da singolone radiofonico e un ritornello in falsetto (con un Saaresto, nell'occasione, tecnicissimo ma stranamente narcisista) che fa tanto spot di compagnia telefonica; i sei minuti di prog metal dell'ode al wah "Rogue" si districano tra secche bordate batteristiche e notevoli virtuosismi alle sei corde; la pessima "Choice Millionaire" e la sfortunata "Brighter Than The Sun" (stucchevolezze assortite sparse nei versi, in particolare l'imbarazzante chiusura di ritornello "Love Never Goes Out Of Season") aggiungono, rispettivamente, effetti e dinamiche vocali da europop dei 90s e innocuità mainstream da boyband munita di chitarre (in stile 3 Doors Down, per intendersi).
Tra le tante inserzioni più o meno azzeccate, la band continua però a dare il meglio di sé quando sono le acustiche a prendere il sopravvento, quando le voci si fanno rotonde, calde, quando si racconta elegantemente d'amore: saranno in fondo soltanto la spensieratezza e la leggerezza di "Love Will Come To You" (impreziosita da una lunga, folkloristica chiusura di chitarre) e il lento romanticismo di "Rebirth" -o anche, sebbene in misura minore, la natura ibrida della più risoluta "Hounds To Hamartia"- a configurarsi come highlights di un disco scritto e suonato con indubbio mestiere, ma ben lontano dall'essere una fondamentale aggiunta al nutrito catalogo dell'alternative rock scandinavo.