Polvo
Siberia

2013, Merge
Prog Rock

Il prog che non se la mena
Recensione di Alberto Battaglia - Pubblicata in data: 18/12/13

I Polvo arrivano dagli anni Novanta e suonano roba underground. Non vi attira? Pazienza. Ma per tutti gli altri questa storica band statunitense ha in serbo un album come pochi, un gorgo ipnotico-creativo senza fine. Questa roba underground la possiamo chiamare prog, se ci va, perché ha una struttura complessa, multiforme e sincretica; tuttavia i Polvo se ne servono per far viaggiare i sensi, più che i neuroni. Niente virtuosismo, niente sfoggi di bella cultura: queste lunghe canzoni sono assemblaggi post-moderni fuori dal corso della storia e fuori dalla logica della citazione. E tutto questo, se ci pensate, è ben poco progressive.


Ma facciamo un passo indietro. Dopo cinque anni all'avanguardia del nascente math rock i Polvo si sciolgono nel 1997; da allora passano ben dodici anni, quando nel 2009 Ash Bowie decide di riunire la vecchia banda per dare “In Prism” in pasto ai patiti di math/prog riuscendo nell'impresa di riprendere il discorso là dove l'avevano lasciato, e meglio di prima (sentirsi una “Beggar's Bowl” per credere). Ora che siamo nel 2013, a 21 anni dal loro disco d'esordio, esce questo “Siberia”, un album infettato da un raro caso di “stato di grazia di mezz'età”. La scaletta mantiene sempre viva l'attenzione sia grazie alla sua imprevedibilità, sia perché riesce a soddisfare anche alcuni bisogni ancestrali come il ritmo (sempre pienamente rock) e l'orecchiabilità. Certo, i Polvo non sono miracolati da qualche scoperta che sconvolgerà la storia: il Polvo-pensiero, in fondo, è ancora quello. Inconfondibilmente 90s in quel suono crudo, fatto solo di basso chitarra e batteria senza altre fesserie; 90s in quelle voci spente dalla droga (vera o simulata; più probabilmente vera); e 90s in quella ricerca progressiva fatta di dissonanze, cambi di tempo e frammenti musicali triturati e sparsi come in un quadro cubista. “Siberia”, pur con intenti simili a quelli di vent'anni fa, prosegue a fondo quella ricerca: il binario è lo stesso, ma ha fatto diversi chilometri in avanti. Questo risultato un po' è merito della produzione dei nostri tempi, dieci volte più calda di quelle di grana lo-fi presenti nei loro vecchi album. Ma alla fine il fattore determinate resta uno: che le idee ci sono.


Prendiamone una a caso. “Blues is Loss”, il cui legame col blues (se c'è) sta nel fraseggio, è un brano suonato con armonie talmente prossime alla dissonanza da sembrare tutto meno che blues; quello che poi avviene nel seguitare dei minuti è un crescendo fatto di sonorità sinistre, di assoli ipnotici, di cambi di tono culminanti in una conclusione sludge, scandita da roboanti accordoni. Oppure prendiamo “Light, Raking”, un pezzo ad umore grunge, che regala poi la straniante impressione d'incappare in un ritornello pop farcito di sintetizzatori rubati ad un trash movie di Jerry Calà, riuscendo persino a farlo funzionare. E se proseguissimo la ricerca all'interno di “Siberia” si potrebbero trovare riferimenti sparsi su qualunque cosa, anche se rintracciarli sarebbe un esercizio inutile, in quanto tutto suona qui completamente diverso rispetto al suo contesto originario. Il bello sta piuttosto nella naturalezza di questo sound progressivo, anche se ha un volto, nessuno e centomila. Varrà comunque la pena descrivere una composizione come “The Water Wheel”: diciassette secondi di riff che sembrano studiati in laboratorio, strutture indefinibili per quanto catchy (non si sa come) e un intermezzo strumentale carico d'atmosfera fulminato dall'elettricità di due chitarre epilettiche. Una goduria, una delle tante.


Se lo leggiamo solo in una chiave storicistica dovremmo accusare “Siberia” d'essere uscito troppo tardi, quando ormai le tendenze hanno seguito un loro diverso corso negli anni. In fondo se il telegrafo fosse stato inventato dopo Skype forse Morse non sarebbe diventato nessuno. E' certo però che la musica non è e non va giudicata come una scoperta scientifica; e in questo caso, con questi Polvo e con un disco così, meglio arrivare tardi che mai.





01. Total Immersion
02. Blues Is Loss
03. Light, Raking
04. Changed
05. The Water Wheel
06. Old Maps
07. Some Songs
08. Anchoress

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