Pop Evil
Onyx

2013, Universal
Alternative Rock

Recensione di Eleonora Muzzi - Pubblicata in data: 26/05/14

Gli americani hanno gusti strani. O meglio, hanno gusti molto precisi e diametralmente opposti, e basti pensare a quel che esportano al di qua dell'Atlantico: da un lato abbiamo Taylor Swift e compagnia cantante; dall'altro, sempre più spesso, quel rock solido e granitico figlio (o nipote?) del grunge di inizio anni '90 che ha appassionato milioni di giovani, e che continua ad attrarre a sé sempre nuovi appassionati. Largo quindi a band come Shinedown e, in questo caso, Pop Evil. Forti di un vocalist talentuoso come Leigh Kakaty, la band del Michigan giunge con "Onyx" al terzo album nell'arco di cinque anni. Ed è un'uscita che fa il botto, se mi passate il termine.

 

Seguendo il solco lasciato dai più "anziani", come appunto gli Shinedown ma anche i Puddle Of Mudd o i Papa Roach, i Pop Evil mandano alle stampe un disco che mescola sapientemente sonorità hard rock con elementi melodici in una miscela ben amalgamata che all'orecchio dell'ascoltatore suona come un fiume di note tutte messe nel punto giusto, estremamente piacevole, mai noioso e orecchiabile al punto giusto. C'è il pezzo più tirato, quello più lento, c'è la ballad.... in pratica tutti i gusti dell'amante del rock alternativo vengono accontentati. Fino a "Silence&Scars", fila tutto liscio come l'olio. Bei pezzi, bei testi, insomma, un disco con tutti gli elementi al proprio posto. Poi arrivano i problemi. Quali? Quelli tipici degli album troppo "lunghi". Quindici brani e 54 minuti e passa di musica non sono una cosa semplice da riempire. È un rischio, non sempre ben calcolato, quello di infarcire gli album così tanto, al punto che si rischia di arrivare a quello che in chimica viene chiamata la "soluzione satura". Ovvero quando il troppo stroppia e si finisce per avere dei brani, soprattutto nella parte finale della track list, che sembrano un po' la sciacquatura dei piatti dei primi.


È quello che succede con "Onyx". Dopo otto brani veramente ben fatti, arrivano quei pezzi magari un po' più vecchi, oppure scritti per ultimi, quelli che forse meritavano di essere B-Side dei singoli o bonus track per le varie edizioni. È vero che alcune bonus track sono a volte più belle dei brani inseriti nella tracklist ufficiale (e gli esempi sono talmente tanti che potrei scrivere un saggio a riguardo), ma si tratta pur sempre di casi eccezionali. E non è questo il caso: gli ultimi cinque brani (escludendo "Boss's Daughter" anche solo per la presenza di Mick Mars che fa sempre la sua gran figura) fanno calare inevitabilmente il livello di gradimento di un album comunque fatto bene, eseguito alla perfezione, registrato bene e prodotto in maniera eccelsa.

 

Se il disco fosse terminato al decimo brano, "Behind Closed Doors", il classico pezzone hard&heavy che queste band sanno fare benissimo proprio perchè è il brano costruito secondo le regole base del genere in questione, il voto sarebbe stato un 8 secco senza mezzi termini e credo anche difficile da sindacare. Lo ribadiamo: meglio togliere qualche brano (o scriverci un "bonus track" di fianco) che mettere troppa carne al fuoco. E vale per tutti.





01. Goodbye My Friend
02. Deal With The Devil
03. Trenches
04. Torn To Pieces
05. Divide
06. Beautiful
07. Silence&Scars
08. Sick Sense
09. Fly Away
10. Behind Closed Doors
11. Welcome To Reality
12. Flawed
13. Last Man Standing
14. Monsster You Made
15. Boss' Daughter (Ft. Mick Mars)

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