Anvil
Pounding The Pavement

2018, Steamhammer/SPV Records
Heavy Metal

Sull'attenti miei soldati, gli Anvil son tornati!
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 17/01/18

Ci sono band di fronte alle quali, nonostante tutti i nostri buoni propositi di imparzialità e giustizia, non riusciamo davvero ad essere obiettivi, perchè il cuore fa lo sgambetto al cervello ed allora diventa difficile la neutralità. Lunga vita e prosperità agli Anvil, una metalband di importanza capitale per la storia del genere tutto, avendo dato alle stampe in un'epoca cruciale, tra la fine degli anni Settanta ed i primissimi Ottanta, un pugno di dischi (allora sì, erano vinili) che hanno contribuito a definire il genere heavy; e tanto basterebbe.


Aggiungiamo poi che dopo un folgorante periodo d'oro, giunge il Super Rock Festival del 1984 in Giappone, a cui partecipano WhitesnakeScorpionsBon Jovi ed anche, heavy come nessun altra band, i canadesissimi Anvil. E dopo? Il buio, l'oblio. Già in calo alla fine degli Ottanta e poi triturata dal mulinex degli anni Novanta, la band deve affrontare il proverbiale "dalle stelle alle stalle": i fan dileguano, l'etichetta li scarica, l'oscuro spettro del lavoro salariato incombe all'orizzonte... e che fanno i nostri eroi? Tirano dritto, perdiana. Raccolgono i cocci. Mettono su famiglie, si cercano dei lavori per sopravvivere, ma continuano a suonare e ad autoprodursi gli album. Verso il 2005 li vendevano via posta a chi ne facesse richiesta, come esordienti qualunque. E poi?


Poi accade una specie di miracolo: Sacha Gervasi, un filmaker che era stato roadie della band da ragazzo (!!!), decide dedicare il suo primo rockumentary proprio ai suoi beniamini. "Anvil! The History of Anvil", alla sua uscita viene definito dal Times: "probabilmente il più grande film mai realizzato sul rock 'n' roll", vince il premio di miglior documentario del 2009 agli Evening Standard British Film Awards (il premio è annunciato da Chris Martin dei Coldplay) e un altro l'anno successivo, oltre che un Emmy. Improvvisamente, dopo venticinque anni di iato, non si parla che degli Anvil. La band pubblica allora un album del ritorno "in grande stile", prodotto nientemeno che da Chris Tsagarides (Judas PriestGary Moore, Thin Lizzy, Depeche Mode tra gli altri), da poco scomparso, con il quale avevano inciso il loro capolavoro del 1982: "Metal On Metal". L'album si chiama "13", a sfidare la famigerata superstizione, ed è un buon successo: gli Anvil riprendono tour internazionali e festival, e da allora la loro buona stella non è mai tramontata.


Per tutti questi motivi, ascoltare l'ultimo lavoro "Pounding The Pavement" ci emoziona e diverte molto perchè è esattamente ciò che ci aspettiamo: puro heavy classico in stile Anvil dal primo all'ultimo secondo, senza uno sbandamento o una perplessità, ma anche per questo li amiamo. Apre le danze la spiritosa "Bitch In the Box" un metal rock pesante e sostenuto, dedicato all'odiosa vocina del navigatore GPS; seguono poi in ripida sequenza la martellante "Ego", che vola su un tappeto di doppia cassa del sempre preciso e tagliente Robb Reiner, il manifesto metal di "Doing What I Want", con classico giro in sedicesimi e la lenta ma violenta "Smash Your Face" (serve tradurre?). La title track è una classicissima cavalcata strumentale da headbanging mentre "Rock That Shit" ci consiglia di sfogare la nostra rabbia e frustrazione in un sano rock 'n' roll, proprio come fa la band. Come si diceva: i nostri non deludono; Steve "Lip" Kudlow è sempre quell'ironico provocatore invasato che ricordiamo. Con le dovute distanze, sono come gli AC/DC: granitici, inamovibili, monumentali, definitivi: metal on metal. "Let It Go" è un metal rock che non sfigurerebbe nei migliori album dei Kiss, ma è "Nanook of The North" - cupa, pesante, epica e quasi thrash - a conquistare la palma del nostro cuore, merito anche dell'ottimo mixaggio e della capacità della band di tenere altissima la tensione di un brano di elementare semplicità, altra virtù degli Anvil. In "World Of Tomorrow" compaiono pure le twin guitars, mentre "Black Smoke" ci tamburella con l'eleganza del mammuth. Un'ultima impennata in velocità con lo spericolato blues frenetico di "Warming Up", altro pezzo che ci regala brividi di piacere e un po' di scuotitesta come si deve. Chiude con stile la bonus track "Don't Tell Me" che non aggiunge né altera nulla del quadro.

 

L'album sfuma dalle nostre orecchie e chiudendo gli occhi sembra che il tempo non sia mai passato, è sempre il 1983, loro sono sempre una delle più aggressive e provocatorie metalband in circolazione. Certo che non è così. Il mondo è cambiato, eccome, ma non per loro. A noi la band non delude mai e questo è uno dei loro migliori album tra i più recenti, meglio di "Anvil Is Anvil" e meglio anche di "Hope In Hell". Prendere o lasciare: la band è così e dopo averne passate tante c'è da dubitare che possa cambiare. Vizio o virtù, decidetelo voi. 





01. Bitch In The Box
02. Ego
03. Doing What I Want
04. Smash Your Face
05. Pounding The Pavement
06. Rock That Shit
07. Let It Go
08. Nanook Of The North
09. Black Smoke
10. World Of Tomorrow
11. Warm Me Up
12. Don't Tell Me (bonus track)

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