"Caught in the storm, but we carry on / called every name since we were born / but we're still here and we're going strong". I versi del brano "The Fighting Song", quando "Power Crazy", quarto LP dei The Treatment, sta per giungere alla conclusione, potrebbero fungere da esergo a una biografia dedicata alla band britannica. La carriera dei nostri, infatti, costellata da lavori energici e potenti, benché non particolarmente originali, vista la messe di gruppi hard rock che saltano alla mente all'ascolto dei loro pezzi, procede imperterrita al pari di una betoniera marciante senza freno alcuno.
La ricetta dell'ultimo album, tra main riff estremamente semplici, cori onnipresenti e canzoni dritte al punto, appare, as usual, abbastanza efficace, e l'arrivo del nuovo cantante Tom Rampton, il cui timbro di voce ricorda, con le debite proporzioni, quello di Bon Scott, cala il lotto in un'atmosfera che, pur moderna, ricorda da vicino gli anni ‘70 e '80 del XX secolo. Nonostante (o forse proprio per questo) i testi non siano certo da Nobel Prize, l'opus, a suo modo, funziona, tenendo comunque ben chiaro un aspetto fondamentale: considerati i continui riferimenti al passato, il disco suona davvero appagante se la spina dell'attenzione vene completamente staccata, agevolando magari l'operazione in compagnia di una dozzina di birre.
"Lets Get Dirty" sembra scritta da degli Airbourne improvvisamente pervasi da un'attitudine più dura, "On The Money" possiede un tocco bluesy à la ZZ Top, "Bite Back" spinge ad alzare i pugni in aria come non esistesse un domani, "Hang Them High" emana autentico spirito rock'n'roll. Probabilmente con "Scar With Her Name" i The Cult avrebbero venduto milioni di copie qualche lustro orsono, mentre il NWOBHM modellato dal soffio dei Mötley Crüe di "King Of The City" aggiunge un pizzico di varietà stilistica al lotto; e dopo la strizzatina d'occhio ai primi Whitesnake in "Waiting For The Call", l'accattivante "Falling Down" combina AC/DC e Rainbow in un trascinante happy ending.
"Power Crazy", dunque, non lascerà certo un segno indelebile nel cosmo musicale, peccando oltretutto di un eccesso di citazionismo, ma comunque diverte, non manca di ritmo e contribuisce al battito del piede sull'assito: d'altronde, "I don't want religion, I don't want champagne, I just want to feel alive and kick you in the brain..."