I Predarubia sono una giovane band che in poco tempo è riuscita a calcare anche un grande stage come quello del Pistoia Blues Festival, divertendosi e divertendo chi l'ascoltava. I ragazzi di Lucca hanno un gran potenziale, lo hanno dimostrato sul palco svegliando un pubblico in attesa del main event e lo esprimono in modo chiaro con Somewhere Boulevard. Un album questo che raccoglie molto dal mondo del rock inglese e statunitense, anche se questa non vuole essere una critica: a differenza di molti musicisti nostrani, ha studiato e non copia, non plagia ma, ha così assorbito le melodie che hanno fatto la storia del rock da rimanerne, per forza di cose, invischiati. Lungo questa tracklist, che lo abbiano fatto con cognizione o incoscientemente, sono disseminati molti rimandi musicali.
A esempio di quanto appena detto si può citare "One Day" che ha dentro di sé molto della melodia chitarristica di "Fortunate Son" dei Creedence Clearwater Revival e "Yesterday" che ricorda immediatamente "Here Comes The Sun" dei Beatles per sfociare in un cantato che fatte le dovute eccezioni si avvicina, almeno nelle intenzioni, a quello di Bob Dylan nei suoi momenti più rock.
Giuseppe Pocai, il cantante, ha una bella voce, che si modula e trova le giuste intonazioni anglofone in ogni canzone risultando ben impostata ma non artificiosa, un marchio di fabbrica che si dipana fin dall'inizio, dando buonissima prova di sé in "Carousel Off", una canzone rock che strizza l'occhio al pop fino ad arrivare alla fine con "In The Distance" dove il tono si fa più basso, più roco ed accattivante fino ad assomigliare per certi versi a un giovane Bruce Springsteen.
A coadiuvare Pocai ci sono degli ottimi musicisti, in particolare la chitarra di Massimo Triti, protagonista assoluta di "Intermezzo" dove si scatena alla grande e perno centrale della bella "Rip", che assume un tono del tutto diverso con l'ingresso in campo della sei corde.
Non sembrano esserci macchie in questo lavoro sincero fino all'arrivo di "Somewhere Baby" troppo sorniona, troppo pop. Una unica nota stridente in un complesso di undici canzoni non può cambiare il giudizio sul lavoro complessivo ma risulta comunque ostico inquadrarla all'interno di "Somewhere Boulevard". E' bene dire che comunque "A Girl Named Hope" riscatta il tutto con la sua bellezza. Una traccia di cantautorato perfettamente riuscita molto bella e piacevole con un testo evocativo a metà tra amore e rimorso, tra la speranza e la consapevolezza che le promesse spesso, soprattutto quelle fatte a sè stessi, sono disattese e infrante. Non solo ritmi ballabili quindi, ma anche catartiche immersioni agrodolci nella vita di un uomo e un artista. Per le sonorità è paragonabile a "Wishlist" dei Pearl Jam e, in un Paese più attento alla propria musica, avrebbe potuto avere un riscontro di pubblico notevole, anche in radio divenendo un biglietto da visita importante per questa band lucchese. Si augura ai nostri di spingersi verso la direzione indicata da questa canzone per provare a fare la differenza.
Se non è così difficile ai nostri giorni trovare musicisti tecnicamente performanti, è arduo trovare chi invece ha le qualità per un buon songwriting e "A Girl Named Hope" è un lampante esempio di come un buon testo possa valorizzare una canzone e al contempo impreziosire un lavoro musicale comunque ben costruito.
I ragazzi hanno potenziale e voglia di emergere, amalgamando ognuno il proprio personale tocco a un disco che risulta piacevole all'ascolto e non destinato a perdersi nei meandri della memoria. In definitiva questa prova dei Predarubia è un long play da avere, da ascoltare e conservare nella speranza che riescano ad esser notati e portati alla ribalta.