Primordial
Where Greater Men Have Fallen

2014, Metal Blade Records
Black Metal/Folk Metal

L’apice tragico dei Primordial
Recensione di Marco Mazza - Pubblicata in data: 01/01/15

I Primordial sono una band che è difficile non amare. E questo non tanto perché da ormai oltre vent’anni regalano musica ad altissimi livelli, ma perché a ogni nuova release è evidente che gli irlandesi ci mettono il cuore. Un lungo e personalissimo percorso costellato da album meravigliosi, ma che ha trovato in quel capolavoro che fu “To The Nameless Dead”, probabilmente l’anima più vera dei suoi autori. Ben lontani dal glorioso eroe che tutto può sconfiggere dipinto da molte metal band, i Primordial hanno sbattuto in faccia della gente la tragedia della guerra attraverso l’oblio dei suoi interpreti: niente gloria, niente onore, nessun riconoscimento per via della morte in battaglia. Un viaggio sempre più drammatico che prosegue anche con l’ultimo “Where Greater Men Have Fallen”: una tragedia che cancella anche quel poco di speranza che lasciava intravedere il precedente “Redemption At The Puritan's Hand”.
 
“Where Greater Men Have Fallen” si pone, musicalmente, un passo avanti rispetto al suo predecessore. Se in “Redemption At The Puritan's Hand” si puntava tutto su pathos ed epicità tralasciando parte della varietà compositiva, nell’ultima fatica la formazione torna a proporre strutture più articolate senza per questo perdere nulla sul lato emozionale che, anzi, ne trae beneficio. I riff tornano ad avere un ruolo primario, caratteristica evidente già nella stupenda title-track d'apertura, in cui emergono in mezzo alla trama marziale tessuta dalla batteria di O'Laoghaire. I riff e le splendide melodie tessute dalle chitarre di MacUiliam e O'Floinn, non si limitano a pochi brani, ma sono distribuiti copiosamente qua e là in tutte le composizioni, vedi ad esempio “Come The Flood”, in cui si fa notare anche il tappeto di basso creato da MacAmlaigh. Nell’uscita c’è spazio anche per furiosi blast beat, vedi “The Seed Of Tyrants”, a ricordare le loro origini black metal (sempre più lontane). I brani sono più vari anche all’interno di se stessi, formando saliscendi sonori ed esplosioni impreviste (“Born To Night”); uno sfondo perfetto su cui si può stagliare la voce di Nemtheanga. E’ con le sue parole che il vocalist riesce a concretare la tragedia; il mezzo con cui i Primordial descrivono scenari struggenti e desolanti come quelli tracciati da “Babel's Tower”. Una voce che perfettamente riesce a rappresentare il soffocato urlo di un guerriero sconfitto che, di fronte al panorama post-apocalittico davanti ai propri occhi, non ha più voglia di combattere.
 
“Where Greater Men Have Fallen” rappresenta, assieme ai suoi due fratelli precedenti, l’apice di una trilogia della disperazione: è un dramma colossale e l’opera più nichilista mai concepita dai Primordial. Nell’ultimo capitolo discografico non c’è alcun raggio di luce, nessuna lacrima da versare: è solo una lucida presa di coscienza della devastazione operata dall’uomo, una situazione in cui ormai non c’è più nulla da fare per raddrizzare le cose. Un album che, pur non arrivando ai livelli assoluti di “To The Nameless Dead”, si pone un gradino sopra al pur validissimo “Redemption At The Puritan's Hand”, soprattutto grazie a trame meno lineari e più variegate. I cinque irlandesi aggiungono un’altra tappa a quel sentiero privo di ogni forma di retorica che da tempo hanno intrapreso, onesti come sempre, con se stessi e con gli altri.




01. Where Great Men Have Fallen
02. Babel's Tower
03. Come The Flood
04. The Seed of Tyrants
05. Ghosts of the Charnel House
06. The Alchemist´s Head
07. Born to Night
08. Wield Lightning to Split the Sun

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