Queen
A Night At The Opera

1975, EMI Records
Rock

Recensione di Eleonora Muzzi - Pubblicata in data: 23/11/16

Nel momento in cui vengono digitate queste parole, sono passati esattamente 41 anni dall'uscita di "A Night At The Opera", forse l'album più noto dei Queen. Un album che, a partire dal tardo 1975, ha rivoluzionato il rock, perchè da sola "Bohemian Rhapsody" ha cambiato radicalmente non solo il rock, ma il modo stesso di vedere la musica, con un videoclip che ormai è un'icona ed è stato riproposto in milioni di modi diversi, più o meno più o meno tanto quanto  "Addicted To Love" di Robert Palmer, ma qui si divaga, torniamo al soggetto di questa recensione.

E qui viene da riflettere un secondo. Considerate le quarantuno primavere sulle spalle di questo album e la sua incredibile influenza, una mera recensione avrebbe ancora senso? Sarà forse più interessante l'esperienza di un ascolto commentato. 

Quarto album della band inglese, "A Night At The Opera" segue i due omonimi e "Sheer Heart Attack", quest'ultimo giunto al secondo posto nella classifica degli album più venduti in UK. Già famosi, quindi, i Queen avrebbero potuto sedersi e far uscire un clone del precedente disco e vedere come andava a finire... e invece no. Via il manager, che a detta della band non li ha mai trattati troppo bene, la band rinnova ulteriormente il proprio sound, aggiungendo elementi completamente nuovi, approcci differenti e un finissimo lavoro di cesello che fa lievitare i costi e i tempi di lavorazione. Basti pensare che solo per "Bohemian Rhapsody" ci sono volute circa tre settimane di lavoro. 

Il titolo è un chiaro riferimento al film dei Fratelli Marx, ma anche alla grande varietà di generi con cui i Queen si sono cimentati nella lavorazione dell'album. Non abbiamo solo il loro classico hard rock con tendenze un po' glam, ma Mercury, May, Taylor e Deacon mirano più in alto, e per farlo, si guardano alle spalle, al passato. Cos'era il rock prima di essere rock? Era l'Opera. Prima delle chitarre elettriche c'erano i violini, prima delle batterie c'erano i timpani e prima dei cantautori c'erano i librettisti. L'approccio era leggermente diverso, ma il risultato non cambiava di molto. I cantanti d'opera e i musicisti che le componevano erano le rockstar dell'epoca. Poi basta andarsi ad ascoltare una qualsiasi opera di Puccini per capire il perchè di questa similitudine.
Abbiamo quindi il rock più duro e puro della prima traccia, lo schiaffo all'ex manager Norman Sheffield, o almeno così sembra, dato che non è mai stato del tutto chiarito benchè fosse abbastanza palese che non corresse buon sangue tra la band e l'ex manager. Un brano fin troppo diretto per musiche e temi, tanto che ci furono parecchi attriti a riguardo, in quanto non si riusciva a credere che Mercury fosse in grado di scrivere testi così cattivi credendoci. E i problemi non diminuirono con la debacle di "Death On Two Legs" che portò anche a problemi legali: ci furono attriti anche durante la scelta del primo singolo. Taylor pregò gli altri di mettere almeno come b-side  "I'm In Love With My Car" un brano decisamente sopra le righe e sarcastico che aveva scritto e cantato lui stesso, tanto che pare si sia chiuso dentro un ripostiglio finchè Freddie non diede l'OK per procedere. Di fatto è stata la b-side di "Bohemian Rhapsody".
Ma questo album a dir poco eccezionale non è solo la "casa" di "Bohemian Rhapsody", ma anche delle più che celebri "You're My Best Friends" e "Love Of My Life", due dei più grandi cavalli di battaglia della band. Il primo, scritto da John Deacon per la moglie mentre stava imparando ad usare il pianoforte, divenne un altro singolo di grande successo, il secondo è invece stato scritto da Mercury e dedicata a Mary Austin, prima fidanzata poi migliore amica, confidente e, negli ultimi periodi della sua vita, fu colei che si prese cura di lui, fino all'ultimo secondo. "Love Of My Life" divenne ben presto uno dei brani più noti e apprezzati, nonchè caratterizzanti della band inglese, e se avete avuto modo di vederli dal vivo nelle incarnazioni più recenti, sapete che è stata spogliata di tutti i fronzoli e viene ora eseguita in acustico da Brian May che accompagna dei filmati di repertorio di Mercury, ed è uno dei momenti più emozionanti di tutta l'esibizione - che già di per sè è eccezionale.
Ma non ci sono solo brani noti in "A Night At The Opera", anzi, è pieno di piccole perle - talvolta letteralmente piccole - come "Lazing On A Sunday Afternoon", le cui parti vocali sono state rese facendo suonare la prima registrazione in un secchio in modo da ottenere un suono retrò, da megaphone; o "Good Company", brano che rimanda direttamente a un jazz di stampo americano che strizza l'occhio verso il bluegrass, con banjo, ukulele e la voce, in questo caso Brian May, registrata più volte e con le tracce sovraimposte in modo da creare l'illusione che sia un quartetto vocale a cantare.
C'è però un brano in particolare su cui vorremmo soffermarci un attimo, che è "The Prophet's Song". Brano di lungezza inaudita per i tempi: per una band che non era dichiaratamente progressive, consta di ben otto minuti di musica. Si può quasi dire che "The Prophet's Song", sia per il comparto musicale che per il tema del testo, sia il primo brano power metal della storia, benchè ricordi effettivamente una canzone dei Black Sabbath per certi versi, più che altro per certe ritmiche. Ispirata da un sogno di May, il testo si rifà al mito del Diluvio Universale, con un approccio più catastrofico del racconto di Noè e della sua arca. Brano incredibilmente complesso e dal mood molto scuro, racchiude al suo interno l'anima di sperimentazione della band ma al contempo è caratterizzata da uno dei capisaldi della band: l'incredibile utilizzo delle diverse tracce vocali sovrapposte per creare l'illusione di avere ben più di quattro cantanti, o solo uno come in questo caso, visto che la maggior parte del lavoro lo fa Mercury. Atmosfere cupe, ma ritmiche potenti e, soprattutto, voci ovunque: risulterà ora abbastanza chiaro il perchè della similitudine col power metal. 


E ora, dobbiamo veramente parlare di "Bohemian Rhapsody"? Il brano che da solo potrebbe riassumere l'intera carriera dei Queen ed è stato scritto quando ancora erano una band "emergente" - si fa per dire. Il brano che se non lo canti tutto, assolo di chitarra compreso, vieni guardato male e sei oggetto di scherno. Oggetto di mille cover e perchè no anche parodie (quella dei Muppets del 2009 su tutti), tornata nuovamente al numero 1 delle classifiche nel 1992 quando fu colonna portante di una delle scene più famose del film "Wayne's World" e che è tornata a farsi sentire anche quest'anno, di prepotenza, quando è stata inserita nella colonna sonora di "Suicide Squad". Canzone dalle mille sfaccettature, complicata ma che ti parla diretta al cuore, rock e teatrale allo stesso tempo, espressione di una filosofia bohemien, appunto, resa però più sobria e meno influenzata dall'uso di droghe o bevande verdi dalla dubbia provenienza. Unica e inimitabile, "Bohemian Rhapsody" splende di luce propria come la stella Polare, in un decennio che tracima di capolavori indiscussi.


"A Night At The Opera" ha cambiato la storia del rock, un brano alla volta. Hard rock e glam si mescolano con quel tocco di progressive che rende tutto più saporito in un mix meraviglioso che tuttora, a distanza di oltre quarantanni dalla sua uscita, regge bene l'inesorabile scorrere del tempo e si fa ascoltare e riascoltare a ripetizione senza mai stancare. Strutturato alla perfezione, è impossibile sentire la necessità di saltare anche solo un brano, tanto sono organici uno con l'altro, quasi fosse necessario sentire il brano precedente per riuscire a comprendere quello successivo.

Non abbiate paura di ascoltarlo con il repeat attivo perchè non vi stancherete mai di sentire "A Night At The Opera". E anche "A Day At The Races". Ma per quello ci sarà un altro articolo: godiamoci questo, dato che siamo qui.





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