Arrivati sull’onda dell’entusiasmo per Fleet Foxes, Mumford & Sons, First Aid Kit e del cosiddetto fenomeno neo-folk che ha scosso il mondo della musica “indiependente” poco più di un lustro fa, il power trio canadese-americano dei The Barr Brothers torna dopo tre anni di silenzio col terzo sigillo in discografia.
Si avverte subito, su “Queens Of The Breakers”, una certa voglia di maggiore concretezza rispetto alle atmosfere più rarefatte del precedente “Sleeping Operator”, e possiamo legittimamente sospettare che il risveglio dal sogno sia dovuto alla paternità di entrambi i fratelli Andrew e Brad, ma gli esiti sono del tutto similari e allo stesso tempo divergenti rispetto a quelli dei “colleghi” The War On Drugs (con la quale i nostri, non a caso, sono destinati a condividere la tranche europea del tour). Abbiamo, difatti, anche in questo caso una maggiore pulizia della voce di Brad e un uso della grande canzone della tradizione Americana come impalcatura fondante, tuttavia la proposta musicale dei Nostri si differenzia per una maggiore apertura verso una certa forma di easy rock di stampo europeo.
Ed è così che tra chitarre che ricordano un po’ troppo gli Oasis (“It Came To Me”, “Maybe Someday”) ed arpe che inevitabilmente richiamano la Machine di Florence Welch (“You Would Have To Lose Your Mind”), si scopre con una certa sorpresa che i The Barr Brothers del Presente sono più convincenti sulle atmosfere maggiormente contemplative, che si tratti di una sorta di immaginario outtake apocrifo della soundtrack di “Boyhood” di Linklater (“Song That I Heard”), che della tranche finale del disco, dove ad una gita al rodeo degli Arcade Fire (“Hideous Glorious” in due parti) si contrappone un magnifico crepuscolo nato dall’intreccio di arpa e piano della conclusiva “Ready For War”. Tuttavia, un po’ troppo poco per scatenare un interesse che non si limiti ad un paio di passaggi spassionati su Spotify da parte di quella fetta di pubblico che ha provato ben più di un brivido di piacere nel leggere la tonnellata di nomi sciorinati in questa recensione.
“Queens Of The Breaker”, difatti, non solo non è supportato da una robusta ispirazione, ma testimonia perfettamente lo stantio sapore di una scena che – siamo pronti a scommetterci – è destinata a scomparire in poco tempo, lasciando giusto una manciata di posti disponibili a band che, fin da subito, sono state destinate al ruolo di leader (e che comunque non possono dormire sonni tranquilli, si veda la tiepidissima accoglienza dell’ultimo Fleet Foxes). I The Barr Brothers, piuttosto, confermano con un disco poco più che godibile e di certo non interessante, il loro ruolo di eterni follower, autori di una musica che non riesce ad alzare il vento a loro necessario per volare.