Raintimes
Raintimes

2017, Frontiers
AOR

Recensione di Simone Muzzoni - Pubblicata in data: 04/12/17

Puro melodic rock made in Italy per il debutto dei Raintimes, nuovo progetto targato Frontiers, che come spesso capita è garanzia di alta qualità: non solo in fatto di nuove proposte musicali, ma anche sul versante della riscoperta di grandi band del passato, spesso cadute nel dimenticatoio. L'album omonimo dei Raintimes ha la fortunata coincidenza di assolvere ad entrambe le funzioni: infatti la nuova band, capitanata da Pierpaolo "Zorro" Monti (batterista e produttore) e Davide Barbieri (alle tastiere, entrambi ex Charming Grace) ha concepito il disco come un tributo ai The Storm, come già si evince già dalla scelta del nome.


I The Storm furono una band di San Francisco, guidata da Gregg Rolie e Kevin Chalfant, che pubblicò negli anni '90 due album tra i più importanti ed influenti in ambito AOR; ma purtroppo il gruppo riscosse solo le briciole del successo che avrebbe meritato, passando alla storia come niente più che un side-project dei Journey (oltre al tastierista Rolie, infatti, vi suonarono anche il bassista Ross Valory e il batterista Steve Smith). Ad oscurare il loro nome contribuì anche un altro ex pezzo da novanta dei Journey, il chitarrista Neal Schon, che in quegli stessi anni realizzò con nonchalance vari album di grande qualità e successo, insieme agli Hardline (da ascoltare "Double Eclipse" del '92) e i Bad English. Per fortuna almeno a 10'000 km di distanza vi fu qualcuno che seppe dare la giusta importanza ai The Storm: Monti e Barbieri, infatti, confessarono d'aver suonato fino a consumarsi le dita il loro secondo album "Eye Of The Storm" del '96, trasferendone la classe e le ricercate armonie lungo le 12 tracce di questo "Raintimes". Da qui la proposta inviata al manager della Frontiers, Serafino Perugino, che da buon talent scout non si fece sfuggire le potenzialità insite nella formazione. A completare la line-up pensano il cantante inglese Michael Shotton, lo spettacolare duo chitarristico composto da Ivan Gonzalez e Sven Larsson e Andrea Gipponi al basso; ma altrettanto di livello risultano le comparse lungo le varie tracce, tra le quali spiccano quella di Alessandro Del Vecchio, Michele Luppi e Daniel Flores, che vanno a confermare la qualità del progetto.


Il sound dell'album propone un hard rock melodico dai momenti fortemente atmosferici, dominati dal timbro di Shotton (vagamente alla Mike Tramp dei White Lion) e le tastiere di Barbieri, con inserti chitarristici dai notevoli spunti sia armonici che tecnici, che assolvono però a una funzione di accompagnamento alla struttura dei brani, più che scandirne i ritmi, spesso pacati e soffusi. Le due opener "Forever Gone" e "Make My Day" anticipano subito il contenuto del disco: melodic rock anthemico dalle forti tinte romantiche, dominato dalla voce alta e coinvolgente di Shotton e dalla gran armonia delle partiture chitarristiche e pianistiche. C'è spazio per pezzi maggiormente guitar-oriented nelle successive "Don't Ever Give Up" (che sembra venuta fuori da "Escape" dei Journey), "I Need Tonight" e "Just A Little Bit More", appena più spinte e ritmate, senza però mai rinunciare alla melodia come tratto preponderante dell'album.

 

Tra le gemme nascoste nell disco spicca la title track, breve strumentale di appena due minuti di durata, che riesce a condensare in sé le emozioni confortevoli e i reconditi timori di una notte di pioggia invernale: le avvolgenti ed inquiete melodie composte dalle note di tastiera convertono in musica impressioni e timori dipinti tra le nubi, che discendono insieme alle gocce di pioggia, trasmettendo sensazioni tormentate e rasserenanti al contempo, che sprigionano una magia difficile da descrivere con le sole parole. La stessa magia si ripete anche in "Empty Days" che, nelle delicate note di piano dell'intro, cullate dalla voce pacata, quasi sospesa in un sogno del cantante, evoca atmosfere notturne e spaccati di quotidianità, tra lacrime di pioggia che battono sul vetro, il profumo del caffè, la luce intermittente dei lampi che rischiara le ombre e le illusioni; mentre il canto del vento tra le fronde crea un dolce sottofondo che maschera il dolore degli addii, dei sogni infranti, delle promesse disattese, celando le stelle e il mondo che giace fuori dalla stanza.

 

Un altro bel lento arriva con "Swan", struggente poesia impreziosita dal cantato sentimentale del frontman, dai cori delicati posti a contorno del ritornello e dall'evocativo solo finale; come anche riuscita è la conclusiva "I See The Light", soffice e melodica. E' forse però questo l'ultimo brano che lascia davvero il segno nel disco il quale perde un po' di mordente nel finale diluendosi in pezzi vagamente più standard, tenendo comunque un livello apprezzabile nel complesso.


"Raintimes" è un album da ascoltare e scoprire poco alla volta in grado di rielaborare la lezione dei più grandi maestri dell'AOR (Journey e The Storm in questo caso) con uno stile comunque personale, che ha il pregio di non scadere nella citazione esasperata o nello sgradevole già sentito. Ci auguriamo pertanto che i Raintimes riescano, oltre a far tornare attuale il nome della band che fu loro di ispirazione, a intraprendere un percorso musicale che possa portarli a creare uno stile ancor più maturo ed elaborato, in modo da realizzare un seguito degno delle alte aspettative create con questo pregevole album d'esordio.





01. Forever Gone

02. Make My Day

03. Don't Ever Give Up

04. Swan

05. I Need Tonight

06. Raintimes

07. Just A Little Bit More

08. Empty Days

09. Together As Friends

10. Missing Piece

11. I See The Light 

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