Il masso si stacca dalla cima e poi si spezza in centinaia di pietre rotolanti.
"Back Where I Belong" dovrebbe chiamarsi, piuttosto, "Back Where We Belong". Lontani per troppo tempo, è ora di tornare. E per come vanno le cose oggigiorno, il ritorno dei Rancid - oltre a essere una manna nel cielo di un genere che ha ormai preso una brutta piega a suon di plastica e finzione - non è una statica presenza sugli scaffali dei negozi, bensì un violento invito al prossimo tour. I Rancid appartengono alla loro dimensione e, occupati da anni di concerti e progetti individuali, tornano finalmente insieme per la pubblicazione dell'ottavo album. Si intitola "Honor Is All We Know" e la sua gestazione ha già fatto abbastanza discutere. Sebbene i tempi di uscita non si possano definire certo biblici - circa tre anni di attesa, dalla prima take alle registrazioni definitive - iniziavano a diffondersi dubbi e domande tra i fans più accaniti. A spazzarli via ci pensano ancora una volta Tim Armstrong e Lars Frederiksen con un concentrato di 14 inediti in pieno stile Rancid: brani fedeli e sinceri, davvero veloci.
È ancora una volta la velocità la chiave del disco. Basta poco più di mezz'ora per lanciare un messaggio altisonante ed esplosivo: la mezzora dei Rancid non subisce contraccolpi o melanconiche sospensioni, ma scorre via, scappa dritta e tagliente come ai vecchi tempi. La cattiveria non del tutto espressa in "Let the Dominoes Fall" è ora disponibile in "Honor Is All We Know": I Rancid tengono fede al loro nome e, sempre di più, si erigono a paladini di un genere in chiaroscuro declino.