Non è facile consacrarsi, tantomeno è facile farlo senza tradirsi. Sono poche, pochissime le eccezioni a questa regola nello sporco gioco del Rock’n’Roll, tagadà sul quale una volta saliti non si è spesso più padroni del tempo e del divertimento come lo si era un tempo. C’è chi si può permettere un altro giro, ma magari non sale nessuno. C’è chi cambia giostra, ma magari non si diverte come si divertiva un tempo e prova a tornare indietro senza successo. Oppure, molto più semplicemente, c’è chi torna a casa.
I Cage The Elephant, tra gli alfieri della scena alternativa americana, pubblicano ora “Unpeeled”, raccolta di live dal loro tour americano che raccoglie il meglio della loro carriera, andando a ripercorrere gli oltre undici anni in cui il gruppo americano ha pazientemente deposto i semi del proprio successo, un successo graduale, da formichina, privo di esplosione vera e propria (nonostante un Grammy per miglior album Rock con “Tell me I’m Pretty") ma che d’improvviso sembra esserci. Una consacrazione che questo album celebra, mostrando in tutte le sue forme l’estro, la delicatezza, l’ebrezza del rock della band del Kentucky che per l’occasione ha ridotto all’osso gli arrangiamenti, impreziosendoli allo stesso tempo con una sezione di archi di pregio. A completare il tutto, un set di percussioni acustiche dai retrogusti selvaggi, come nel caso di “Cry Baby” o dell’ormai iconica “Ain’t No Rest For The Wicked”, primo vero lampo nel tranquillo cielo americano di Bowling Green. Percussioni che si distendono e placidamente fanno sognare quando si tratta di abbandonarsi alla malinconia di “Trouble”, della graffiante “Too late to say goodbye” o alla delicatezza di “Rubber Ball”, autentica perla ancor più brillante in questa veste acustica.
Gli inni degli elefanti si intrecciano anche con 3 cover, fra cui spicca quella di “Instant Crush” dei Daft Punk e Julian Casablancas, leader degli Strokes e padrino dell’Indie, che si priva della stucchevolezza elettronica e che finisce per risultare persino migliore dell’originale. Chi l’avrebbe mai detto?
Anche “Golden Brown” degli Stranglers e “Whole While World” di Wreckless Eric, uscita in anteprima per annunciare il disco, si incastonano perfettamente nel gioiellino che è questo “Unpeeled”. Un disco come dice il nome con la scorza, ruvido, grezzo, ma anche naturalmente dolce. Un live che nei suoi arrangiamenti ridotti all’osso regala un’esperienza sonora fuori dal comune, ma ancora più ricca in questo ossimorico binomio su cui lo stesso Matt Shultz, eccentrico leader del gruppo, ha detto la propria in tal modo:
"Molte volte cerchi di aggiungere dei suoni per mascherare il tappeto sonoro in sottofondo ma non capisci che è proprio questo senso di vulnerabilità o di vuoto che potrebbe essere la parte più stimolante e più interessante di una canzone”
“Unpeeled” è l’occasione giusta per assaporare al meglio il frutto della musica dei Cage The Elephant e di provarlo per la prima volta per chi non lo conoscesse, quasi sicuramente per finirne catturati.
Durante tutto l’ascolto la giostra gira senza fermarsi, giusto per riallacciarci alla metafora di cui parlavamo all’inizio: non è di quelle che ci fanno girare la testa, vorticose o da vertigine. E’ una bella ruota panoramica che a volte va talmente piano che si può addirittura guardare il panorama senza alcun disturbo, o alzare la testa e perdersi guardando le stelle.
E noi non vogliamo scendere, anzi, ci facciamo anche un altro giro!