Jinjer
Wallflowers

2021, Napalm Records
Groove/Progressive Metal

La punta di diamante degli ucraini, un ariete che abbatte la barriera delle emozioni più intime e personali.
Recensione di Giampiero Pelusi - Pubblicata in data: 26/08/21

Il successo, talvolta, sa essere una brutta bestia. La fama appanna gli occhi, rende tutto meraviglioso e, allo stesso tempo, tutto meno chiaro. Partire dal basso, anni di sudore e olio di gomito, studi di registrazione sgangherati, palchi minuscoli e ritrovarsi, poi, da un momento all'altro, in un'altra dimensione, con migliaia di persone al tuo seguito e con il gravoso compito di mantenere un determinato livello qualitativo. Arrivare a certi livelli fa vacillare idee e propositi, entrano in gioco temibili meccaniche pronte a sgretolare molte band, stregate dal dolce richiamo della popolarità, del mainstream e del grande pubblico. I Jinjer sono giunti ad un bivio importante della loro carriera, spinti dall'esorbitante crescita che, dalla release di "Macro", li ha proiettati alla velocità della luce tra le nuove brillanti stelle dello scenario metal moderno. Qual è stata la loro risposta a tale successo? Un album ancora più pesante, cupo ed introspettivo, un ariete che abbatte la barriera delle emozioni più intime e personali: "Wallflowers".


Due lunghi anni sono trascorsi dall'ultimo album, due anni intensi e difficilissimi che hanno messo a soqquadro le vite di tutti: i Jinjer estraggono e convertono in note la malinconia e l'angoscia di questo periodo buio, risaltando l'importanza di sputare fuori le proprie debolezze per azzerarne il tossico peso. Già la splendida "Vortex", primo singolo estratto, aveva messo in luce una formazione in splendida forma, spinta da un tortuoso studio di paesaggi più tetri, con un approccio iniziale morbido (alla "Pisces", per intenderci) per poi tuonare come una fitta tempesta nella parte finale. Tatiana Shmayluk ringhia growl rabbiosi, ipnotizza, seziona e apre la mente dell'ascoltatore per vomitarci dentro parole profonde come buchi neri e, subito dopo, è lì, a soffiare sulle ferite con la sua meravigliosa voce naturale, quest'ultima, come al solito, di una classe disarmante, indice di una costante crescita tecnica e di una maturità che tocca vette altissime in questo album. L'opener "Call Me A Symbol" e la massacrante "Colossus", tra blast beat ossessivi e piccole pause melodiche, hanno la stessa carica di un meteorite pronto all'impatto: impressionante come i musicisti ucraini riescano a tessere strutture, pattern e armonie complesse e talvolta quasi fuorvianti, riuscendo comunque a congiungerle alla perfezione.

 

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Photo Credits: Alina Chernohor

 

Il lavoro batteristico di Vlad Ulasevich è incredibile, specie in quel tritacarne musicale che è "Mediator", così come di altissima qualità è la prova di Eugene Abdukhanov, metronomo della band, capace di costruire basslines splendide come quella della brutale "Copycat" o quella più vellutata di "Wallflower". Come molti sentenziano, i Jinjer non hanno inventato nulla, ma è proprio qui che viene il punto: è l'ossessiva ricerca degli elementi pregiati del groove, del progressive e del djent, ridosandone a dovere le quantità e mescolandoli secondo una personalissima ricetta esplosiva, a rendere la proposta degli ucraini efficace. Non mancano, inoltre, le esplorazioni sonore tanto care a "Macro", dal riffing hard rock e dal retrogusto grunge di "Disclosure!", agli approcci psichedelici della già citata "Wallflower". Un caos sapientemente orchestrato e portato a brillare dalla sei corde di Roman Ibramkhalilov, vera mattatrice tra tutti i componenti del disco. Una prova sopraffina e complessa quella del chitarrista, tanti sono i riff, gli arpeggi, i passaggi melodici e gli stacchi più frenetici. A completare il lotto troviamo la velenosa "Pearls And Swine" con i suoi rapidi passaggi prog e cambi di tempo, "Sleep Of The Righteous" col suo alternare agrodolce di riff scultorei e armonie vocali o l'instabile "As I Boil Ice", capace far collimare mid tempo robusti, sezioni acide e clean sections più pacate.


Molti si aspettavano un disco più accessibile, pronto a far la corte al grande pubblico: i Jinjer fanno tutt'altro, fortunatamente. "Wallflowers" è il frutto della scelta della strada più tortuosa, una decisione ardua, ma da band matura. Tematiche più intricate ed introverse, al servizio di un tappeto sonoro ancor più stratificato e complesso dei precedenti album. Un lavoro studiato nei minimi dettagli, levigato ad arte e prodotto in maniera eccezionale, sinonimo di un'evoluzione artistica che non ha alcuna intenzione di fermarsi di fronte ai già numerosi traguardi raggiunti. "Wallflowers" è talmente bello che quasi risulta difficile descriverlo in poche parole, servirebbero pagine e pagine per analizzarne tutti i minimi particolari. Si è parlato molto dei Jinjer nei siti specializzati, anche in termini dispregiativi, ma qui siamo di fronte ad un'opera oggettivamente splendida e di una raffinatezza fuori dal comune. "Wallflowers", al momento, è la punta di diamante dei Jinjer e sarà destinata ad ammaliare i nostri animi assorti per molto, molto tempo.





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