Marillion
All One Tonight - Live At The Royal Albert Hall

2018, Racket Records
Progressive Rock, Art Rock

L'incredibile saggezza di una delle prog band più sognanti, essenziali, adulte e fanciullesche del mondo: lo spettacolo più importante dei Marillion, di nuovo verso l'Olimpo, un Olimpo diverso. 
Recensione di Valerio Cesarini - Pubblicata in data: 02/09/18

Una delle band più interessanti del pianeta per percorso, collocazione, storia e successo: i Marillion, gli stessi del gigante scozzese che cantava "Kayleigh" nei jukebox dei nostri genitori, sono una realtà sempre più paradossalmente sottovalutata nonostante la (meritata) ascesa in popolarità degli ultimi tempi. 

 

Sì, perché si parla di una storia imperdibile, del coraggio di proporre il prog nell'era delle paillettes e dei campanellini, della coerenza nel cambiare totalmente faccia una volta separati da una mente imponente come quella di Fish, della potenza creativa che porta a radicare un gruppo nel moderno, assestandosi comunque come un fenomeno unico nel suo genere.

 

Il progressive dei Marillion del duemila, della viva creatura guidata da Steve Hogarth, è unico e delicatamente fondamentale perché si potrebbe discutere per giorni se di "progressive" si tratta; chitarre cantanti e atmosfere aperte e sognanti affogano quella che era la logorroica, splendida retorica di un capolavoro come "Misplaced Childhood" - ma come, questi vanno al Cruise To The Edge e ricordano i Coldplay?

 

Ed è proprio il coraggio e la saggezza di permettersi di scappare da ritmi legati, del regalarsi minuti e minuti di sogni lenti e carezzevoli, del rendere del progressive il messaggio più puro, e cioè il fatto che "tutto è permesso" per allargare all'inverosimile lo spettro di una musica che possa effettivamente toccare il mondo; è questo a rendere pressochè unica la proposta dei Marillion. Pop, prog, lo si chiami come si vuole, ma quanto dà sollievo essere coccolati da un ascolto ampio, accessibile, e contemporaneamente rimanerne ancora stupiti. 

 

"F.E.A.R. (Fuck Everyone And Run)" è l'ennesimo messaggio di libertà creativa della band britannica, una leggera deviazione dalle atmosfere iridescenti dei lavori precedenti, verso un territorio più riflessivo, più politico sia nel senso letterale che metaforico del termine.  Scelta azzeccata, per la meritata ascesa a nuove luci della creatura di cinque uomini (molto) adulti di nuovo capaci di riempire la Royal Albert Hall con uno spettacolo degno dei fumi attorno ad esso. L'ultimo DVD live vede i Marillion nella veste quasi inedita di sovrani assoluti del palco e dello spettacolo, di semidei così umani, con gli archi, le luci, quella magica distanza dal pubblico che non intacca la "famiglia" dei fan ma promuove i cinque gladiatori.  L'esecuzione integrale di F.E.A.R. rappresenta la prima parte del concerto, un afflato di flemma e maturità, di discorsi intimi bagnati da Whiskey centellinati. Dall'apertura inglese e bucolica di "El Dorado" al singolo "Living In Fear", brano tanto complesso quanto gratificante, il ritmo riflessivo di F.E.A.R. rende decisamente coraggiosa la scelta di proporlo per intero in un concerto. E, come un'apnea, la durata è esattamente giusta per risalire in superficie e tirare il respiro più intenso della nostra vita, quella tensione che regala la bellezza, altrimenti ignota, della liberazione dal paradiso profondo. 

 

Sembra quasi un'altra band quella che sale sul palco dopo "The New Kings" e "Tomorrow's New Country", per proporre i successi di una carriera coloratissima. Autoconsapevolezza, mite sfrontatezza: nessun brano di Fish, nessuna hit radiofonica in scaletta, nessun esasperato bilanciamento fra i numerosi album. I brani selezionati sono l'attenta ripresa dello spirito dei Marillion nel presente, nelle intenzioni, nell'esperienza.  In pompa magna l'ingresso, con fiati e quartetto d'archi, per uno dei brani più intensi della produzione Hogarth: "The Space". Ed è lo stesso Hogarth a sfavillare, scintilla impazzita, fra i tocchi perfetti di Steve Rothery e Mark Kelly, per tutta l'esibizione. La voce è bruciante e levigata come un torbato, quasi volutamente intaccata (solo in superficie) non dall'età ma dalla maturità. Inutile ripetere come il timbro sia unico, il controllo eccezionale e tante belle parole: "The Space", abbassata di un tono, preserva pressochè tutta la magia che aveva quando veniva sparata dalle più acerbe corde del primissimo Hogarth di "Seasons End".

 

Ed è la stessa forza, ancora più libera nei brani successivi, di occhi che hanno visto e non guardato, che porta brani intensi e immortali come "Afraid Of Sunlight" e "The Great Escape" alla loro apice, fra le performance più sentite della band. Non un brano debole, non un calo, non un - a questo punto non necessario - inutile cambio di ritmo: dalla storica "Easter" all'imponente "Man Of A Thousand Faces", fino alla poesia d'amore di un uomo in bilico, al tremante grido di "Neverland", l'incastro perfetto di cinque asceti della musica moderna porta All One Tonight ad essere uno dei prodotti più intensi, emblematici ed importanti degli ultimi anni. Stasera siamo tutti uno. 

 

E, abbassando la quota dei nostri voli, un quadro esaltato anche dalla (essenziale) cornice: le riprese sono vive, intime, ampie, l'audio intellegibile e monumentale. Abbassando ulteriormente il volo fino ad una blanda passeggiata, però, l'onore che ho di scrivere di artisti e momenti così importanti lo sfrutto anche per il solito, venale e terreno, sfogo. La produzione di Mike Hunter è ottima, lo spettacolo può essere fruito quasi come se fossimo lì, con una importante nota di demerito: l'auto-tune. Non indosseremo il paraocchi predicando una ormai morta "estrema veridicità": programmi di intonazione sono all'ordine del giorno nel 99% dei prodotti professionali di oggi, a prescindere dalla effettiva qualità della performance o dalla collocazione della band. Ma una voce mondiale come quella di Steve Hogarth, un carattere così vero e sincero come quello dei Marillion, uno spettacolo forte come questo concerto non meritava che le piccole imperfezioni, le corse frenetiche del frontman venissero così evidentemente de-vitalizzate da una macchina di cui né noi, né tantomeno artisti di questo calibro hanno bisogno.


Ma che reato sarebbe sporcare le ultime righe di un meritatissimo elogio ad una band storica con l'unico neo in un disco esemplare, l'unica voce in una carriera ancora limpida. Meno poetico e più semplice: chiunque merita di scoprire i Marillion nella sua vita.





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