Mike Shinoda
Dropped Frames, Vol. 1

2020, Kenji Kobayashi Productions
Elettronica

Mike Shinoda è tornato in modo imprevedebile, con un album ricco di novità che segue sentieri lasciati inesplorati. 
Recensione di Dario Fabbri - Pubblicata in data: 11/07/20

Uno dei maggiori punti di forza dei Linkin Park è sempre stata la sconfinata creatività del rapper tuttofare Mike Shinoda. Qualcuno potrà non essere d'accordo con questa affermazione, pensando a Shinoda come a colui che ha allontanato la band delle proprie origini sonore, ma è altresì innegabile che senza le sue invenzioni (a volte geniali, a volte meno riuscite) i Linkin Park sarebbero stati molto diversi. Alla base della carriera di Mike Shinoda, oltre alla creatività, c'è un altro elemento fondamentale: l'imprevedibilità. Il nuovo "Dropped Frames, Vol. 1" presenta entrambe queste caratteristiche, anzi, se possibile le accentua ulteriormente: annunciato improvvisamente solo poche settimane prima della sua uscita, il secondo album solista del rapper polistrumentista nasce dalla collaborazione con i suoi fan durante le lunghe giornate in lockdown. Chiuso nello studio di registrazione della sua abitazione californiana, Mike ha interagito con migliaia di suoi sostenitori su Twitch, organizzando dirette di svariate ore in cui ha composto musica ascoltando i consigli dei fan che l'hanno seguito in questa nuova esperienza.

 

Composto da 12 tracce, di cui 11 strumentali e una sola cantata, "Dropped Frames, Vol. 1" rappresenta, presumibilmente, il primo di una serie di album interamente, o quasi, privi di parti vocali e pubblicati attraverso l'etichetta indipendente di Shinoda, la Kenji Kobayashi Productions. In questo caso, è la traccia d'apertura, "Open Door", l'unica canzone a non essere interamente strumentale: con una base d'impatto, un Mike decisamente in forma nelle strofe rappate e un ritornello composto dalle voci di ben 7 fan diversi, "Open Door" è il singolo radiofonico ideale, con caratteristiche che la rendono estremamente godibile ma affatto banale. Nelle restanti canzoni, invece, a dominare sono le abbondanti basi di elettronica, accompagnate da strumenti a fiato, come in "El Rey Demonio" o in "Osiris", o da chitarre elettriche, come in "Neon Crickets".

 

Per quanto riguarda gli episodi migliori del disco, oltre all'opener, è impossibile non citare "Channeling, Pt. 1". Qui, a fare la differenza è l'abilità notevole del fido Dan Mayo alla batteria, oltre alla buona base creata da Shinoda. E ancora, tra le tracce più riuscite, si ritaglia un posto anche la già citata "Osiris", in cui l'elettronica, che è dominante in tutto il disco, ora si mescola abilmente con sonorità spiccatamente orientali, portando una ventata d'aria fresca all'interno dell'album.

 

A mettere la parola fine a questa serie di pezzi "da atmosfera", come Shinoda stesso li ha definiti, ci pensa "Booty Down", una brevissima composizione che ha fatto breccia tra i fan presumibilmente per la propria natura scherzosa piuttosto che per meriti puramente tecnici. Questo e il non prendersi troppo sul serio sono, in realtà, caratteristiche ben presenti in tutto il lavoro e toccano l'apice proprio in questa traccia conclusiva. "Dropped Frames, Vol. 1", quindi, ci restituisce un Mike Shinoda finalmente divertente e divertito, che trova piacevole comporre musica in compagnia dei suoi fan e che non ha paura di creare qualcosa di diverso e inaspettato, ma anche un artista maturo che prova a perlustrare strade non percorse prima e a seguire sentieri lasciati inesplorati.





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