Coheed And Cambria
The Unheavenly Creatures

2018, Roadrunner Records
Alternative Rock

Recensione di Dario Fabbri - Pubblicata in data: 03/11/18

"The Unheavenly Creatures" è il titolo del nono capitolo delle avventure narrate dal frontman/fumettista Claudio Sanchez e dai suoi Coheed And Cambria. La storia è ambientata in un luogo in cui le tenebre dominano sulla luce (come descritto dall'opener "Prologue"), il che, combinato con l'artwork della copertina estremamente romantico, crea un effetto a dir poco suggestivo. E parlando di musica, il discorso diventa ben più complesso: il disco presenta una serie consistente di alti e bassi, dovuti soprattutto al fatto che la band di Sanchez ha cercato di produrre un lavoro orecchiabile e accessibile al grande pubblico, ma al contempo complesso e ricco di dettagli. Questi due elementi sono entrati in contrasto in più di un'occasione.

 

Per ciò che concerne le basi, l'impressione è che i musicisti abbiano letteralmente giocato con gli strumenti a propria disposizione, e questo è uno dei maggiori punti di forza di "The Unheavenly Creatures". Inoltre, bisogna dar merito ai nostri di aver preso spunto da una molteplicità di stili diversi: tra i più distinguibili ci sono sicuramente il glam rock à la Queen, l'arena rock, il progressive metal, e, soprattutto, il gruppo è fortemente debitore di "The Black Parade", il gioiellino dei My Chemical Romance. I riferimenti alla band di Gerard Way sono presenti in buona parte del disco, partendo dalla prima traccia cantata, "The Dark Sentencer", che è con tutta probabilità uno dei peggiori episodi del lotto, a causa di un marcato contrasto dei due elementi già citati (orecchiabilità e complessità). Paradossalmente, i brani che risultano più efficaci e meglio riusciti sono quelli che arrivano subito al punto, senza perdersi in dettagli trascurabili: per questo motivo tracce come "Toys" e l'enigmatica "Queen Of The Dark" spiccano tra quelle presenti nella prima metà del disco. Le avventure dei nostri proseguono, ma arrivati a metà si ha quasi inevitabilmente una sensazione di monotonia, alimentata dalla discreta durata del disco (quasi 80 minuti). Tra ritornelli alquanto orecchiabili (quello di "Unheavenly Creatures" su tutti) e canzoni come "Love Protocol" e "The Pavillon (A Long Way Back)", che faranno breccia nei cuori di chi ama le canzoni puramente romantiche, ci sono grandi cadute di stile come la voce robotica nelle strofe di "Night-Time Walkers", ma anche magnifiche sorprese, tra cui "The Gutter", che può essere considerata come un energico tributo ai Queen, e "It Walks Among Us", sicuramente tra le più riuscite. La sorpresa più grande, però, viene conservata per il finale. L'ending "Lucky Stars" è una ballad composta magistralmente, affatto banale: chi scrive non si vergogna di ammettere che ha fatto fatica a non commuoversi. Una perla rara sommersa in un mare di 15 canzoni.

 

Alla luce di alcune tracce, soprattutto quelle finali, viene naturale pensare che in alcuni brani la band non abbia dato il meglio di sé e che alcune canzoni si assomiglino fin troppo. Tutto questo non nega il fatto che in più occasioni la band ha mostrato tutto il proprio potenziale, offrendo alcune prove di qualità. "The Unheavenly Creatures" è tante cose: luce e buio, gioia e rabbia, tecnica e melodia, una storia dai mille aspetti, tutti da scoprire.





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