Come "Slash", meglio di "Slash": Jake E. Lee, vent'anni di esilio autoimposto e neppure una scaglia di ruggine su quelle dita baciate da Dio, è tornato. Con una parata di guest star da tappeto rosso, e una nuova band per metà reclutata su Facebook: il segno degli anni che passano, anche se alcune cose - l'assolo di "Bark At The Moon", ad esempio - non passano mai. Non è un caso, d'altronde, che l'ex chitarrista di Ozzy Osbourne sia rimasto nell'ombra tanto a lungo: c'era il timore di rovinarsi, il rischio di ripetersi, la voglia di riscattarsi. È bello sapere che anche le icone hanno paura, a volte, e che ogni leggenda, al calare del sole, rimane carne che trema e sangue che brucia; è bello abbassare il volume della vita, spegnere gli amplificatori e godersi il silenzio, di tanto in tanto. Ma ancora più bello è mandarlo in mille pezzi, quel silenzio, e "Shout it out, till they can't take it no more" che si è ancora vivi, e più affamati che mai.
Come "Slash", meglio di "Slash": perché, anche mentre DJ Smith, Robert Zander, Paul Di'Anno e Maria Brink si contendono il microfono, "Red Dragon Cartel" non assomiglia neppure per un secondo alla collezione di figurine del cilindro più famoso del rock; in compenso minaccia seriamente l'integrità delle nostre ossa, istigando allo scapicollo più sfrenato con le diaboliche "Deceived", "Shout It Out", "Slave" e "Big Mouth". Classici istantanei per cui band meno dotate venderebbero l'anima al diavolo, tantissimo mestiere, riff ad alto voltaggio, groove da ballare sino alla resa incondizionata per sopraggiunto sfinimento: it's only rock'n'roll, but we like it.