C'è un maligno trappolone nascosto tra le note che aprono "Exi(s)t", motivo per il quale ci sentiamo in dovere di mettervi subito in guardia. Se le delicate tastiere, i violini emulati dai synth o le avvolgenti ed evocative elettroniche potrebbero infatti far pensare all'inizio di una rilassante scampagnata in territori atmosferici, basta meno di un minuto e mezzo perché entrino in gioco, con un impatto frontale che farebbe paura ai Meshuggah, quelli che saranno gli attori principali dell'album: devastanti bordate di blast-beat, scream improvvisi e taglientissimi, growl laceranti e viscerali.
Avendo assorbito come efficaci spugne tutta l'ultima decade di suoni djent - e dunque di balzelli simultanei di bassi e chitarrone in accordature rigorosamente iper-ribassate, shredding a sorpresa e impietose violenze perpetrate ai danni di innocenti drumkit - i Reflections, nei soli tre anni in cui sono stati in giro (l'album d'esordio, "The Fantasy Effect", risale a una ventina di mesi fa) sono riusciti a svilupparne una declinazione originale quanto diabolicamente malvagia: le vocals vengono portate a bazzicare spesso dalle parti del mondo -core (i tre strabordanti minuti di "Delirium" costituiscono un ottimo esempio) e molte altre volte su lidi quasi brutal, arrivando in alcuni casi a far sembrare molti recenti rispettati death act (prendete pure gli Obscura, o se vi piacciono di più i The Faceless) educatissime cover band di sigle di cartoni animati.
La band statunitense riesce però a mostrarsi progressiva non soltanto letteralmente, per il modo più o meno condivisibile con il quale aggiunge nuovi elementi alla tradizione oggi incarnata da Periphery e Tesseract, ma anche nel senso comunemente accettato dai vocabolari del metallaro: c'è spazio dunque per pause di riflessione sotto forma di lente, godibili parti di clean guitar (qualche breve solo, ma anche cioccolatini al gusto Ne Obliviscaris a cavallo tra "Candle" e "This House" e in chiusura a "Stories Through Storms"), o addirittura per corroboranti carezze di femminee voci, avviluppate da delicati arpeggi acustici e malinconiche note al piano (l'incredibile evento succede sull'ottima "Lost Pages").
Magari, quando nell'ultimo paio di brani il contatore di open notes raggiunge e forse anche supera le sei o sette cifre, il canovaccio può cominciare a mostrarsi un po' logorante, e il mal di testa per i non avvezzi al genere (ma non solo) può essersi reso pressappoco cronico e incurabile; resta comunque innegabile che "Exi(s)t", anche nel caso in cui le innovazioni proposte non vi scuotano più di tanto, riesce a farsi ricordare se non altro per le sue esplosioni di bestiale crudeltà. E in un panorama zeppo di aspiranti riletture dei soliti classici che prendono forma in file infinite di riff triti, ritriti, anonimi e informi, la cosa non può che essere un merito.