At the Forum in Inglewood", cioè la versione audio del film/concerto "The Repentless Killology" nei cinema di tutto il mondo dal 6 novembre; quello che a tutti gli effetti appare come l'ultimo atto o canto del cigno dell'act sulla scena che hanno contribuito a creare.
Già si annunciava dai tempi del non entusiasmante "Blood Painted World"; poi le voci hanno acquisito consistenza col successivo "Repentless"; infine, hanno dilagato le notizie di un tour di addio, che si è da poco trionfalmente concluso. Un po' per l'aria da estremo congedo che ha aleggiato su tutto l'evento e che si è allungata anche sul film, un po' per la sua natura multimediale (correlato per di più di una serie di videoclip legati da una trama), da cui l'estrapolarsi dell'audio risulta la fetta di una fetta; vuoi perché chi scrive non ha grande stima nell'ultima fase artistica della band, ma ascoltare "The Repentless Killogy" ha un effetto vagamente necrofilo (potrebbe esssere altrimenti, dato di chi si parla?) e deprimente. Ci spieghiamo: presi in sé uno per uno i brani di questo live sono stati scelti con la medesima e prevedibile logica di un ultimo e definitivo "the best", per cui non manca quanto qualunque fan della band si vorrebbe aspettare da una loro scaletta, più ovviamente il meglio degli ultimi brani; una specie di aggiornamento di "Decade of Aggression" insomma, a uso dei posteri. Non vogliamo qui giudicare della felicità di questa iniziativa audio/cinematografica, ma ci sembra che ascoltato così, senza la sua componente video, "The Repentless Killology" risulti un live tronco, tutto sommato poco incisivo ed il confronto (ahinoi) è ancora col capolavoro del 1991.
Chi ha avuto il privilegio di conoscere la potenza della band quando era sulla breccia dell'onda, non può che trovare sfuocata e a tratti decisamente debole la resa attuale dei loro capolavori di un tempo; sfocature e debolezze che purtroppo la levigata produzione non può correggere né truccare più di troppo. Non crediamo c'entrino la recente scomparsa di Hannemann né l'addio ormai storico di Lombardo: semplicemente, la band ha gradualmente perso la sua raison d'etre e ha finito per fare il verso a se stessa a beneficio dei fan più recenti che ambivano anche loro, come quelli old school, a una libbra della loro carne. Così si fa intrattenimento, non già arte. Tanto che i brani più convincenti finiscono proprio per essere quelli meno convinti e più di maniera dell'ultimo periodo. A coronare il tutto un Tom Araya che latra, a tratti rantola, più che sbraitare. Con tutto l'amore che abbiamo avuto per gli Slayer e il rispetto che ci rimane per loro, di cuore diciamo: fine per fine, si poteva finire con più classe.