Nono album per la power metal band svedese Bloodbound, ormai forti di una carriera che taglia il traguardo dei 15 anni di attività. Il gruppo ha da sempre alternato buoni lavori a prestazioni meno significative, rimanendo in quel limbo di gruppi che non sono mai riusciti a fare il definitivo salto di qualità. Il sovraffollamento di band nell'ambito del power metal, sopratutto a cavallo degli inizi del 2000, e la riproposizione di cliché tipici del genere, non solo a livello di sound, ma anche di tematiche e immagini (quali tipicamente spade, draghi, battaglie), di sicuro non hanno aiutato la band a spiccare tra gli altri, rimanendo perciò lontani, a livello di seguito, da mostri sacri quali Helloween, Edguy, Stratovarius, e nuovi esponenti del genere ormai definitivamente consacrati quali Powerwolf e Sabaton.
"Rise Of The Dragon Empire" è decisamente un titolo evocativo. Senza soffermarci troppo sulla mancata originalità riguardante immagine e tematiche scelte per il titolo, è giusto spostare il focus sulla musica e sul sound di questo nuovo lavoro, sapendo che gli svedesi sono in grado di produrre anche lavori di buon livello (nella discografia su tutti "In The Name Of Metal" e "Book Of The Dead"). L'album, pur attingendo a piene mani da tutti gli elementi canonici che il genere prevede, ha comunque una propria fisionomia e una propria varietà. Si alternano cavalcate epicheggianti come la convincente title track o "Breaking The Beast", con brani nei quali i ritmi dettati dalle tastiere si alternano a cori trascinanti, come avviene nelle ottime "Slayer Of Kings", "Magical Eye" e "The Warlock's Trail", e in maniera meno avvincente in "Blackwater Bay". In "Skyriders And Stormbringers " si ritrovano, poi, quelle che sono le caratteristiche del sound dei Bloodbound con ritmi cadenzati e trascinanti, già presenti nei precedenti lavori, mentre troviamo anche un pizzico di heavy - con venature power - in "Giants Of Heaven". Interessanti sono anche la semi-ballad epica "Reign Of Fire" e la potente "Balerion".
Un disco complessivamente ben fatto, dal quale spiccano soprattutto le melodie e le sonorità di impatto, così come l'ottima prova vocale di Patrik Johansson, cantante che per tecnica e carisma è assolutamente un valore aggiunto. Certo, I Bloodbound non inventano nulla di nuovo, ma in questa release il loro compito lo fanno per bene, in un lavoro bilanciato senza cali di tensione, che certamente troverà commenti positivi tra gli amanti del genere. Potenzialmente, uno dei migliori album della band, consigliato anche a chi si approccia per la prima volta al gruppo, e non è sazio di power metal perfettamente incorniciato tra draghi, spede e fuoco.