Nata nei primissimi Ottanta, la più nota metalband giapponese, la prima a superare le barriere nazionali per sbarcare in USA, da dove si fece conoscere un po' ovunque con album come "Thunder In The East" e "Lightining Strikes", torna con "Rise To Glory", un album che nelle versioni USA ed UE comprende anche "Samsara Flight", raccolta di vecchi successi reincisi nel 2016 con la formazione attuale. Notiamo en passant che questo "Best Of..." sui generis dà gran risalto ai classici anni '80 - qui proposti con un suono più pesante e aggiornato ai gusti attuali - molto meno ai lavori degli anni Duemila e nulla agli album anni Novanta, in cui la band si era allontanata dall'heavy classico per cui si è fatta conoscere, sfornando tre album di un bizzarro groove metal (era l'epoca dei Pantera...) ibridato con suggestioni dalla world music. Il messaggio sembra chiaro: i Loudness sono paladini del classic metal, senza se né ma.
Lo dichiara a gran voce "Rise To Glory" che, sin dal titolo ultradefender, non sposta di una virgola i nippometallers dallo stile per cui sono noti: stile certo debitore dei grandi nomi europei (Iron Maiden, Judas Priest, Accept) ma non privo di personalità. Gliela conferisce anzitutto il cantato che, se evoca un po' l'acuto alla Dickinson, ha una tensione e una raucedine di fondo che la rende immediatamente riconoscibile, così come lo stile inconfondibile di Akira Takasaki, chitarrista e fondatore della combo. Per chi già li conosce ed ama c'è poco altro da aggiungere ma per tutti gli altri urgono alcune osservazioni.
Anzitutto la produzione, così piatta, fredda e priva di dinamiche da rendere assai monotono l'ascolto complessivo dell'album e non valorizzandone punto le singolarità; in certi brani ("Soul On Fire" su tutti) la resa è compromessa da un suono di chitarra tra i peggiori che si siano sentiti negli ultimi tempi (nelle parti più serrate si sente chiaramente il ritorno delle pennate sui pick-up!!!).
Poi: va bene la coerenza ed essere "defenders", ma a volte ci sembra che i Loudness siano un tantino pedanti e pedestri nella loro osservanza quasi religiosa degli standard del genere. Per cui, anche i virtuosismi chitarristici (il nostro Takasaki, dal gusto così neoclassico, è certamente discepolo di Malmsteen) risultano alla lunga un poco stucchevoli, data anche la propensione di Takasaki per gli assoli scalari. Tutto un po' troppo smerigliato e privo di scabrosità, così come di rischio, tanto che i due brani strumentali, in cui la band si concede qualche evasione dalla linea dura e pura, tra cui l'ottimo "Kama Sutra", non eccitano granchè malgrado le premesse. I momenti che convincono di più sono la travolgente "Massive Tornado" in cui il sound vira al thrash, l'elegante e geometrica title track e la cavalcata di "Why And For Whom". Nessuna caduta rovinosa, intendiamoci, ma anche nessuna impennata. Ahinoi, se è vero nel rock in genere, lo è a maggior ragione nel metal: chi non risica non rosica.