Ai fan degli svedesi Hellacopters il nome di Robert Dahlqvist non suonerà nuovo: l’ex chitarrista del gruppo scioltosi nel 2008 è recentemente tornato in attività. Il risultato è “Solo”, un album –come già anticipato dal titolo – solista, il primo e quello del quale si sente più orgoglioso:
“I can say from the bottom of my heart that I have never been this proud of some music I made, feels like a life's work – everything from the music to the lyrics and production.”
E’ facile capirne il motivo –due anni di lavoro, con la collaborazione del produttore e amico Björn Olsson, tra alti e bassi nelle proprie vicende personali, il cui segno è rintracciabile nelle melodie e nei testi che compongono questo lavoro, indefinibile a livello stilistico.
Già, chiunque si aspetti un album che ricalchi da vicino la produzione musicale garage punk/rock con la quale Robert è diventato famoso, avrà probabilmente una delusione. Nulla di tutto ciò: interamente scritto in svedese, “Solo” è un album per lo più acustico, dal tono cantautorale e intimistico, quasi scritto più per sé che per il pubblico. Giocando con la musicalità tutta singolare della lingua svedese, Dahlqvist scivola dalla calma di “Jag Va Kött och Blod” al tono onirico di “Det Tog En Lång Tid”, con lo splendido assolo di chitarra sul finale. Non mancano delle incursioni punk rock che ricordano gli Hanoi Rocks degli esordi (“Redo Nån Gång”, “Vi Tår Boten”, “Sneseglarn”) e nemmeno 2 minuti e poco più di sperimentazione puramente strumentale (“Ingrid Isabel”). Ogni brano è un esperimento a sé, ognuno con un mood e una sonorità diversi dal precedente, uniti tra loro dal filo rosso comune rappresentato dalla chitarra e dal suo suono ora malinconico (“Ej Med Flit”, uno dei brani più riusciti), ora graffiante, come nei virtuosismi di “Ta Det Kallt”. All’ultimo, come a chiudere il cerchio, “Åker Tåg” conclude l’album, riportando alla melodia serena e semplice del brano d’apertura.
Un album apparentemente caotico, zeppo di scelte musicali contrastanti l’una con l’altra, che può confondere le idee all’ascoltatore che magari si aspetta più decisione e meno pasticci sperimentali. In realtà, i brani che compongono questo album si uniscono e si completano tra loro, andando a creare un album coeso, personale e nel complesso ben riuscito. E’ come con gli acquerelli, quando mischiandoli tutti insieme si finisce per ottenere sempre una sorta di grigio sporco e indefinito; ma a tentare di ottenere di nuovo quel colore, ecco che se ne ottiene un altro. Robert Dahlqvist attinge dalla sua tavolozza personale e il colore che ottiene è interessante e, c’è da scommetterci, unico.