Prendete Taylor Swift: reginetta del pop che vanta oltre 40 milioni di dischi venduti nel mondo, figlia di un ricco manager del Pennsylvania ed estremamente attaccata alla propria immagine, oltre che al profitto e al copyright (per intenderci, nessuno dei suoi brani compare su Spotify, e se vi azzarderete a mettere un video con una sua canzone su Youtube sarete fulminati come Paolo sulla via di Damasco, ed il vostro video prontamente eliminato dal Tubo). Cresciuta nel country ma precocemente approdata al pop più radiofonico e commercialotto, è idolo di migliaia di ragazzine in tutto il mondo, e vanta svariati riconoscimenti, tra cui un Grammy e 5 Academy of Country Awards.
Ora prendete Ryan Adams: rispettabilissimo autore, stimato da illustri figure del Rock contemporaneo (tra i quali spiccano Billy Joe Armstrong e i fratelli Gallagher), che nella sua carriera è passato dal blues, al folk, all'alternative con una semplice e camaleontica abilità compositiva, che lo ha sempre spinto a non accontentarsi e ad andare oltre quanto già proposto, rielaborando e ricreando tutto ciò che si è trovato tra le mani: anche brani di altri autori per intenderci, che Adams ha sempre "riadattato", senza mai stravolgere nel profondo.
"Dunque ha realizzato anche una cover di un brano di Taylor Swift?" Direte voi... E invece no. Adams ha realizzato una sua personalissima versione dell'ultimo album di Taylor Swift. Per intero.
Ora potete capire perchè fossimo tanto stupiti. Lo siamo ancora a dirla tutta, perchè "1989" è un album che ha venduto tanto, 8 milioni di copie per la precisione, i cui singoli passano regolarmente in radio e che soprattutto ha meno di un anno di vita. Perchè qualcuno dovrebbe comprare un'altra versione di un album appena uscito, che per altro è nel pieno della sua consacrazione (e non solo sotto un profilo di vendite)? Una risposta vera e propria non c'è. Quasi sicuramente per puro diletto.
Come suona dunque il "1989" di Ryan Adams? Annichilito, stordito, ma non scontato. Anche stavolta infatti il quarantenne americano è stato abile nel rendere proprio e nel ridefinire la forma dei brani, stavolta sì stravolgendoli, ma non snaturando quelle che sono le orecchiabili, seppur talvolta scontate melodie di fondo. Ma il vero miracolo è un altro: ogni singola canzone sembra tutto, meno che una cover di un brano di una popstar degli anni 2010.
Sentendo "Blank Space" e "Bad Blood" sembra di trovarsi più di fronte a Springsteen che non a Taylor Swift, con tinte americanissime, romantiche e dolci. Non faticheremmo molto ad accostare un brano come "Style" agli U2, con tanto di Riff imbevuti di delay ed echi, come il buon The Edge insegna. Adams riesce anche a ridare linfa vitale alla spenta "Wildest Dreams" grazie ad un appassionato equilibrio di chitarra acustica ed elettrica, ma a stupire davvero è "Shake It Off", che passa da hit dance tremendamente insopportabile e stucchevole a ballad narcotica e crepuscolare, con basso e synth usciti dalla new wave fine anni '80, che coinvolgono intimamente l'ascoltatore e riescono a far passare in secondo piano persino il più infantile dei testi.
Il 1989 di Adams disegna un improbabile ponte che collega 30 anni di influenze rock, probabilmente tra le più gradite e significative per l'artista, al disco pop di oggi. Non sappiamo se fosse davvero questo il suo intento, ma ogni brano riesce a trovare una propria contestualizzazione stilistica e musicale, più semplicemente un suo "perchè". Poi certo, c'è l'altra faccia della medaglia: resta uno sperimentalismo un po' tanto da talent show, e tornando alla domanda che ci ponevamo all'inizio, non possiamo negare che in fondo dietro tutto questo vi sia anche una certa ricerca di visibilità (la presenza sul palco di Adams nei prossimi concerti di Taylor Swift è quotata a 1). Ma l'esperimento è comunque ben riuscito.
Ah, l'album è tutto (meno una traccia) su Youtube, e stavolta Taylor Swift non lo cancellerà, state sereni, anche perché sembra proprio che le sia piaciuto. Potete dargli un ascolto senza problemi, almeno per togliervi la curiosità!