Alla Norvegia non boastava Susanne Sundfør, si doveva abbinare a forza una "cugina" Sandra Kolstad. Scherzi a parte, ci deve essere qualcosa ultimamente, nell'estremo Nord, per cui le starlette del pop fanno tutto meno che pop, anzi: cercano con testardaggine la provocazione artistica imbastendo la loro musica di destrutturazione elettronica.
Al di là di ferite a torace aperto e conturbanti nudità, e della stramba mania di interrompere i titoli dei suoi brani/dischi con delle parentesi, Sandra Kolstad giunge all'esordio con un disco in cui il pop anni '80 tipicamente italiano si mischia in modo estremamente interessante con un'elettronica gelida e sferzante, quasi da rave berlinese. Il risultato è oltremodo affascinante: ti pare di sentire una perfetta reincarnazione di Giuni Russo che ascolta con maggiore interesse la melodia pop tipicamente scandinava al posto delle urla isteriche della compagna di merende Rettore, in un quadro sonoro retrogrado, ma che non disdegna anche interessanti punti di vista sul presente (ascoltate, in questo senso, l'uso interessante dell'hip hop di Son Of Light sulla bitchy "Do The Dive (Gravity Animals)").
Purtroppo, a "(Nothing Lasts) Forever" manca una certa varietà d'insieme che sappia rendere sempre sfiziosa e non zoppicante la discretamente lunga traversata e, come ulteriore aggravante, l'origine nordica della Nostra si riflette anche in un'eccessiva freddezza, da stemperare al più presto infondendo molta più passione ed emozione alla propria musica, lasciando magari un poco da parte la ferrea legge del sintetizzatore.
Ciò detto, Sandra Kolstad rimane sicuramente uno di quei nomi da mettere sotto osservazione per il futuro. Un bocciolo spinoso che attende un clima più caldo per fiorire appieno.