The Big Jazz Duo
Scion - Soothsayer

2019, Fire was Born Records
Deathcore

Nel magmatico panorama underground deathcore in Italia, il Big Jazz Duo spicca per abilità e sagacia.
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 15/10/19

Il Big Jazz Duo nasce ad Alessandria nel 2013; l'act si contraddistingue in diversi raduni (Milano, Dissonance 2014 e 2019; We Are DeathCore Fest 2018); dopo il primo full length "Enemy" (2015), per la Fire Was Born Records, la band partecipa all'Australian Take Over Tour, unica band italiana;
"Scion - Soothsayer", prodotto da Fabrizio Gesuato agli Inverno Studios, è il primo EP parte di un più ampio concept narrativo e progetto musicale che si protrarrà ai primi mesi del 2020; si racconta di un'accolita segreta chiamata i "Gardeners" che tenta di rianimare un antico dio creatore; in particolare, gli EP si ambientano nel mondo emotivo del leader della setta, disperato per le fallite evocazioni del dio e gli inutili sacrifici umani per resuscitarlo, ma da lì a breve gli sovviene un'apparizione... le liriche, che ruotano intorno all'universo di "Silent Hill" in modo allegorico, si ispirano a svariate fonti, ludiche e mitologiche.
"Soothsayer", ottimamente prodotto, sembra indicare una decisa svolta della band verso un death al contempo più classico e dalla forte timbrica attuale, con un uso, una volta tanto, non banale delle keyboards.


La cosa che colpisce maggiormente, oltre alla grande abilità nel gestire architetture complesse, è la grande varietà dei vocalizzi, a volte più scream altre più growl. Gli sviluppi death lasciano ampio respiro all'evocatività degli strumentali e danno maggior rilievo agli affondi di violenza.
Prendiamo il singolo "Of Serpents And Reeds", che ci scaraventa con violenza in un solenne tritacarne, poi attraversa un ponte centrale più smorzato, e infine riesce in una coda quasi epica nella sua cupezza inesorabile; nulla di inaudito, ma tutto molto ben costruito, tanto che la traccia precipita quasi insensibilmente nella successiva, feroce e teatrale "Blind Faith".
"Heretic" è forse, se è lecito a dirsi, il brano più orecchiabile e più power; un elemento di grande effetto sono i frequenti recitativi, spesso forti di break ritmici granitici e vertiginosi, ma che alla lunga possono annoiare un poco. "Sacrifice To Cinder" furiosa nel blastbeat conferma l'impressione di grande competenza musicale in linea con i modelli d'oltreoceano, senza grandi impennate ma senza macchia. La conclusiva "Undeath" si muove in una dimensione strumentale, rarefatta ed orchestrale, preludio al secondo atto del racconto e volutamente interlocutoria.
Attendiamo la conclusione della storia...





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