Selvans - Downfall of Nur
Selvans - Downfall of Nur

2016, Avantgarde Music
Folk - Black Metal

Recensione di Marco Migliorelli - Pubblicata in data: 16/03/17

Quod bonum faustum felix fortunatumque sit. E ciò risulti buono, fausto, felice e fortunato. Questa la formula rituale proferita dai magistrati romani in procinto di intraprendere una azione di pubblico interesse. E questo è proprio quanto hanno compiuto i nostrani Selvans (alla seconda ristampa del bellissimo "Lupercalia") e Antonio Sanna, mastermind argentino del progetto Downfall of Nur (autore dell'ottimo debut "Umbras de Barbagia"), componendo, in qualità di ministri o ancor più, testimoni di un culto, un album solenne a due voci, bilanciato simmetricamente su quattro canzoni: una coppia di brani lunghi e corposi, il centro bipolare dell'opus; una coppia di estremi strumentali, a inizio e chiusura.
 

Una collaborazione pienamente riuscita, fin dalle premesse. Il titolo? assente, come a dire che l'essenza, è nell'accostamento stesso di quei due nomi: la sinergia; ecco la chiave che tutto muove. La spinta nasce da uno schietto e sincero desiderio di comporre insieme. Alla base una solida stima reciproca, alimentata prima ancora che dall'indubbio successo delle due formazioni di maggior rilievo nel tempio della Avantgarde Music, da un interesse profondo e reciproco per la propria musica sotto l'aerea volta di comune approccio artistico. Difficile distinguere il confine fra amicizia, spirito sodale ed una adesione al ruolo di artista che vive e crea nella stima dell'altro (e viceversa): allo stesso modo è, nell'insieme, superbamente difficile separare, pur nelle importanti e diverse sfumature di suono ed approccio al tema, le due parti del disco. Nulla di più felix fortunatumque! Entrambe infatti si nutrono di una continuità frutto di potente consonanza artistica: unisona visione di una forma raffinata di black metal, attenta al dettaglio ma pur sempre genuinamente devota all'intensità celebrativa in cui orbitano i due protagonisti del concept: Sole e Luna; qui esperiti come immagine e narrazione attraverso il tempo, della dimensione divina cui hanno assurto nell'Antichità, a stretto legame con la Terra-Tellus e le sue divinità: Ceres e Venus, appaiono infatti nel testo di "Pater Surgens", che insieme a "SOL/intro", costituisce la prima parte dell'album, a firma Selvans.

 

Fin dall'intro, in cui una malinconia strumentale, degna dell'abbacinante luce dei Campi Elisi, prelude al taglio solenne di "Pater Surgens", i Selvans catturano il Sole nel suo nascere, là dove la nota musicale si scinde fra la potenza gittante del raggio e il suo calore, che è anche quello del sangue degli uomini versato sui campi della Storia ancor prima che il tempo ne scandisse il corso.

 

"How many gazes are there in your rays?
How many ashes will carry your sons?"

 

Si attende l'Aurora, come se il mattino fosse una promessa del mondo fatta al fato; ma non è la luce completamente razionale di Apollo quella che indora l'ispirazione dei Selvans. L'energia imbrigliata e modellata del black metal tradisce con sommesso orgoglio la devozione primordiale all'astro, ancor lontana dai fasti imperiali del puro Sol Invictus e più vicina ad un sentimento originario, italico in cui la luce solare è ancora legata ai cicli della terra e quindi intimamente connessa al regno lunare; nulla di più bonum e faustum di questa connessione potrei trovare nel definire anche la riuscita sinergia fra le due band.


Se i nostri Selvans sono sempre attenti nel curare il tratto squisitamente italico dei loro testi, Downfall of Nur apre invece alla Luna in modo più universale e meno definito geo-culturalmente. Quello di "Mater Universi" è canto della stirpe umana-sublunare, che nel momento in cui evoca il pallido raggio a farsi guida e purificazione fra gli elementi di questa terra, non manca di rappresentare la Luna stessa, nelle sue fattezze materiali, anticamente inghiottite dal mistero delle sue proprie fasi, così incisive sull'immaginario, quanto sulla vita stessa del nostro pianeta. Undici minuti dopo l'inizio, un breve intermezzo fra le due parti del lungo brano composto da Sanna, esplode la verità di questo mistero, in un tripudio di percussioni a sottendere l'evocazione lunare:

 

"Let your rays bless, again this iron
Let your rays bless, again this soil
Your light purifies, the blood of this earth"

 

Nel mentre riecheggia l'ispirato assembramento di accordi che ha caratterizzato il brano in più fasi dal suo inizio. Un momento tòpico, questo, che connota "Mater Universi" come brano più diretto e a tratti sottilmente "tribale" di "Pater Surgens", seppur ugualmente ricercato negli arrangiamenti e continuamente bilanciato nella creazione di uno sfondo emotivo siderale, in cui anche ciò che si muove molto velocemente, può essere vissuto, in questo caso diremo, ascoltato, con una lentezza che con intensità maggiore fissa l'astro delle emozioni. Astro che a sua volta rallenta definitivamente in "Outro/LUNA", un acquerello ambient che indulge come un notturno nel lasciar sedimentare l'ormai conclusa esperienza d'ascolto. "Pater Surgens" di suo indugia, fra le righe, nella malinconia, qui trasposizione del calore solare, insolitamente "femminile" ne rimandare all'Aurora. Il riffing, pur graffiante in diversi momenti del brano, cede, soprattutto all'inizio, ad una maggiore incisività rituale, improntata all'atmosfera così come alla solennità dell'evocazione.


Ho volutamente parlato spesso della solennità di questo disco perchè già nell'artwork di Santiago Caruso, nitido e metafisico quasi essenziale, traluce ben più che il semplice intento di dar corso ad una rappresentazione prettamente emotiva e caotica, facilmente epica e stereotipa di Sole e Luna: lo sforzo, ben più ambizioso, è quello di piegare il black metal, nella forgia di nuove immagini fatte musica senza però perdere contatto con l'immediatezza di un ascolto subito coinvolgente; - qui giocano un ruolo fondamentale i tanti accorgimenti sonori disseminati per tutto il disco: il pindarismo dei flauti in "Pater Surgens" o i rallentamenti squisitamente folk di Mater Universi, ad esempio.

 

Lì dove non incidono le parole dei testi, mai ridondanti e cerebrali, arrivano i suoni. La produzione, -mastering e mixing sono rispettivamente opera di Gabriele Gramaglia (già in Avantgarde Music col suo progetto solista "The Clearing Path") e dello stesso Sanna-, propone suoni vivi, mai pastosi ma nemmeno nitidi, per non perdere in ruvidezza nei passaggi più decisi, dove è la componente black a prevalere.

 

Parlare di split, è risultato riduttivo fin dalle premesse; fin da quando il progetto ha iniziato a prender corpo ed è stato subito chiaro che nelle menti dei due gruppi, prendeva piede un piccolo, denso e ispirato concept album dai toni squisitamente essenziali e profondamente personali, pur senza eccedere in protagonismi capaci di ledere l'omogeneità dell'opus musicale. Tutto sotto l'occhio, sempre attento e sensibile, di Roberto Mammarella che ha intuito da subito quanto potesse essere importante, proprio in questa fase ascendente dei due gruppi, dar loro spazio creativo e sostegno.

 

Per coloro che già conoscono la proposta musicale dei due gruppi, non resta altro che carezzare l'orbita di questo album, sospesa fra metafisica e antico sentire; chi invece muove i primi passi verso l'universo musicale di queste due band, si trova nel mezzo di una sinergia perfetta, lì dove due modi di far musica diversi e complementari allo stesso tempo, forgiano un ciclo di fasi siderali attraverso la materia e il divino, latrici di una visione comune, intensa e sfaccettata.

 

 

 





1.SOL/Intro
2.Pater Surgens
3.Mater Universi
4.Outro/LUNA

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