SKW
Signs

2014, Bagana Records
Crossover

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 29/05/14

Con venticinque anni di carriera alle spalle e solo cinque album all'attivo non si può certo dire che gli SKW siano una band estremamente prolifica. Probabilmente le cause di queste uscite col contagocce sono da imputare ad un'attività dal vivo alquanto prolifica ("interminabili tour", come loro stessi scrivono nel sito ufficiale della band) o alla solita situazione da terzo mondo che attanaglia l'industria discografica italiana. Sia quel che sia, ogni qual volta la formazione meneghina dà alle stampe un nuovo album i fan sanno bene che ci si può aspettare un nuovo passo avanti, sia per quanto riguarda la tecnica che per lo stile, ed anche questo "Signs" non delude le aspettative.

 

Forti di una formazione stabile ormai da diciotto anni, rispetto al precedente "Numbers" gli SKW hanno deciso di puntare nuovamente verso lo stile che avevano adottato in passato, abbandonando i brani molto più leggeri che caratterizzavano la loro quarta fatica. Ma dato che si parlava anche di innovazioni, questo nuovo album si può segnalare per l'utilizzo di suoni asciutti, per una sezione ritmica (soprattutto la batteria) semplice e sempre in primo piano, per un ritorno alle sonorità americane dei primi anni '90 che vengono comunque modellate secondo il gusto di questa seconda decade degli anni 2000.

 

I brani in scaletta ci mostrano una band che ha raggiunto la propria maturità artistica: "Light" è il perfetto condensato delle caratteristiche di questo album esposte nel precedente paragrafo. "Signs", pur essendo forse un po' troppo contaminata da uno stile à la Velvet Revolver, è quanto di più rappresentativo dello stile crossover a stelle e strisce. "A New D-Sign" permette all'ascoltatore di fare un salto indietro nel tempo, con le sue sfuriate ottantiane ed una batteria rocciosa che va dritta al sodo. Gli SKW comunque non abbandonano completamente quanto di buono presentato nel precedente album, ed a testimonianza di ciò troviamo "Amnesia", un mid-tempo che si segnala per il ritornello estremamente coinvolgente, così come "Never So Close", una ballad di stampo hard che ci mostra il lato più melodico del combo meneghino. All'interno di "Signs" c'è anche spazio per una cover: coraggiosamente viene scelta "Red Sector A" dei Rush, lontana anni luce per stile e per tipo di cantato dal sound dei milanesi, ma il risultato ottenuto è di grandissimo pregio, grazie alle chitarre pesanti, alla batteria che picchia sempre come un maglio in fonderia ed alla voce abrasiva di Marco Laratro, agli antipodi rispetto a quella pulita e delicata di Geddy Lee, ottenendo una versione crossover che non ha nulla da invidiare al brano originale.

 

Con "Signs" gli SKW si segnalano nuovamente come una formazione da tenere d'occhio, capace di crescere costantemente ad ogni nuova uscita, con uno stile ben definito ma che non vuole assolutamente seguire le mode del momento. L'album necessita di diversi ascolti prima di essere completamente metabolizzato, ma grazie anche ai due punti di forza della band (la voce, sfruttata sempre in maniera perfetta, di Marco Laratro e la batteria incredibilmente incisiva di Giancarlo Piras, senza nulla togliere all'ottimo lavoro effettuato alle chitarre da Simone Anaclerio ed a basso da Mirko Voltan) non lascerà insoddisfatto nemmeno l'ascoltatore casuale.





01. Light
02. The Final Destination
03. Amnesia
04. Signs
05. Fail
06. Never So Close
07. A New D-Sign
08. Fake Parade
09. Red Sector A [Rush cover]
10. When Tomorrow Becomes Today

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