Refuge
Solitary Men

2018, Frontiers Music
Heavy Metal

Peavy Wagner, il meglio dei Rage prima maniera ed un pizzico di sopresa nell'esordio dei Refuge
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 09/06/18

È una notte buia e tempestosa di 25 anni fa, quando la miglior formazione dei Rage che mente umana ricordi - quella cioè di Peavy Wagner alla voce e al basso, Manni Schmidt alle chitarre e Christos Efthimiadis alle pelli - dà alle stampe "The Missing Link" e, dopo un breve tour, si divide: Efthimiadis nei Tri State Corner, Manni nei Grave Digger, Peavy proseguendo coi Rage. Sino al 2014 quando i tre decidono di suonare un secret show nella loro città natale (Herne) col nome di Tres Hombres, senza promozione e solo col passaparola e i social. Alla fine si presentano più di 1.200 persone e la band ripropone con gioia dei fans il meglio dei Rage dal 1987 al 1993. Senza nulla togliere ai rispettivi progetti - che i tre continuano a portare avanti - nel 2015 nascono i Refuge, che partecipano a diversi prestigiosi festival internazionali e, poco dopo, vengono corteggiati dalle labels. In breve c'è parecchio nuovo materiale, abbastanza per un album autoprodotto; il missaggio è affidato a Dan Swano, virtuoso dai molti talenti e collaboratore di decine di importanti metalband tra cui Bloodbath, Edge Of Sanity, Nightingale, Katatonia.

 

Da un progetto nato in sordina e quasi per scherzo, quattro anni dopo (più un quarto di secolo, contando lo iato), "Solitary Men" richiama già dal titolo il glorioso passato dei Rage (Perfect Man, 1988) come la lunga separazione. La copertina (i visi dei tre che emergono dalla corteccia di un albero in stile mount Rushmore) non è il massimo ma, diciamocelo, l'artwork non è mai stato il punto forte neppure nei Rage. Di solito, di fronte a iniziative di questo tipo, il fan di vecchia data si prepara ad averne il cuore squarciato, presentendo già la delusione per la prevedibile stanchezza, l'autocitazione che ne infesterà il contenuto e per il senso generale di cripta e di riesumazione, se non di "proviamo anche questa, o la và o la spacca"... insomma, ci si prepara al peggio.

 

E si commetterebbe un madornale errore col presente lavoro che, senza proporre nulla che esuberi le aspettative, riesce nel non facile obiettivo di suonare fresco, ispirato e, a tratti, persino sorprendente. L'inizio "Summer's Winter", ci riporta a quanto di più Rage prima maniera si potrebbe volere, e già si teme il peggio, ma a torto perché il pezzo se ne scorre liscio liscio, e così i successivi "The Man In The Ivory Tower", "Bleeding From Inside" confermano l'impressione iniziale: una band in ottima forma, suoni tradizionali ma ben calibrati, gran tiro, pezzi solidi, cioè piacevoli senza sprofondare nel deja vu. Verso metà ascolto ci si persuade di un'urgenza compositiva potente, che emerge a pieno inoltrandosi nel disco; anche la brevità dei brani (quattro minuti e mezzo in media) dà compattezza all'insieme. I tesori, però, sono nascosti in coda: dopo la cavalcata di "Mind Over Matter", si allacciano le cinture e si decolla con il rock metal venato di spunti Seventies della deliziosa "Let Me Go", un brano che se pubblicato a metà anni '80 avrebbe spopolato; si prosegue la corsa con la vorticosa "Hell Freeze Over", costruita su un abile alternarsi di melodie accattivanti e dissonanze, e si giunge al culmine con "Waterfalls", che è anche il brano più lungo e strutturato. Non solo l'ispirazione c'è, ma anche la capacità di disporre con abilità i brani. Pfiuu. Il vecchio fan tira un salutare sospiro di sollievo: pericolo scongiurato! E si abbandona all'ascolto più leggero. 





01. Summer's Winter
02. The Man In The Ivory Tower
03. Bleeding From Inside
04. From The Ashes
05. Living On The Edge Of Time
06. We Owe A Life To Death
07. Mind Over Matter
08. Let Me Go
09. Hell Freeze Over
10. Waterfalls
11. Another Kind Of Madness (Bonus Track)

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