Sólstafir
Ótta

2014, Season of Mist
Avantgarde

Un album per anime autunnali
Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 27/10/14

Sono attivi da quasi vent’anni ma in loro non vi è ancora traccia di contaminazione commerciale o di un qualcosa che riporti spudoratamente ad un riconoscimento altolocato se non quello che la loro musica lega chi ascolta. Stiamo parlando di una di quelle band provenienti da quella fucina musicale chiamata Islanda, stiamo parlando dei Sólstafir. Una carrellata di demo, un’innegabile gavetta ed un esordio come Í Blóði og Anda, apatico e freddo come il ghiaccio che ha indubbiamente permesso ai nostri di arrivare fin qui, a questo Ótta”, quinto album di un percorso che a malapena ricorda tutti i passaggi che ha esplorato e affrontato nel suo cammino.

 

Heyrirðu stormsins nið?
La senti? Questa è la voce della tempesta

I Sólstafir arrivati fino a noi rappresentano un’avanguardia stilistica ed una sperimentazione musicale dai tremori post/rock folkloristici, ben lontani dall’oramai stretta etichettatura metal e mai troppi vicini alle proposte post/metal in circolazione. Pubblicato lo scorso agosto, (esattamente l’opposto stagionale di ciò che racconta) “Ótta” dispiega le sue caratteristiche musicali con il calar della sera, un sound che fin dai primi minuti ti proietta nella bellissima spiaggia di Reynisfjara, nera nella sabbia, rabbiosa nell'infrangersi delle onde, pacata nel suo immutato silenzio. Non serve per forza una fervida immaginazione per scoprire tutto questo, dare un’occhiata all’artwork (ad’opera del fotografo islandese Ragnar Axelsson) è sufficiente, saprete subito proiettarvi nel mood del lavoro ma, attenzione, capirete forse l’atmosfera che aleggia attorno ad esso, ma per quanto riguarda la musica? Il sound incastonato nelle 8 tracce non è affatto alla portata di chi cerca una melodia facile o una struttura sempliciotta della canzone; badate bene perché servirà a poco anche aver digerito l’emblema musicale di una "Fjara" (dall’ultimo album Svartir Sandar del 2011), non abbastanza da sventare tutte le sovrastrutture musicali che, in quest’occasione, non rappresentano affatto una svista imperdonabile bensì un qualcosa che spinge a scoprir sempre più tutte le sfaccettature dell’album. La voce grave, aspra ma espressiva di Aðalbjörn Tryggvason, vi darà del filo da torcere, anche e soprattutto per l’impenetrabile uso dell’islandese; se ancora non è abbastanza anche l’intera produzione, consciamente sporcata o meglio non ripulita, svelerà ben presto un sound rude, tortuoso. L’incedere straziante della tracklist poi, vi accompagnerà in tutte le fasi della giornata, dalla mezzanotte all’alba, dal bollente sole del mezzogiorno al sollievo lunare della sera: “Lágnætti” è la sporadica luce di un falò in una mezzanotte scandita da tumultuosi movimenti e vibrazioni che portano ad un’emozione crescente, sempre più tangibile. Sicuramente memorabile è la linea vocale di una “Dagmál”, unico movimento “soft” dell’intero lavoro; menzione sicura anche per l’eclettica title track che con il suo banjo ci accompagna fino alla scoperta finale con archi e qualche stridulo lamentoso in lontananza.

 

Un album per anime autunnali, questo è "Ótta".
Alcune volte le parole tediano, ecco allora che in casi come questi, ci ricordiamo che il miglior finale è proprio il silenzio. 



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