Sons Of The Sea
Sons Of The Sea

2014, AVOW Records
Alternative Rock

Recensione di Paola Marzorati - Pubblicata in data: 29/03/14

Cambiare, mutare la propria pelle come i serpenti, per sentirsi nuovi, per volersi un po' più bene,  ma in fondo rimanere sempre gli stessi. Cambiare: non ho mai capito chi lo considera come una colpa e non come una crescita, chi è solo pronto a puntare il dito e a urlare "sei cambiato, ti preferivo come prima" invece di guardare in faccia la bellezza, la freschezza di ciò che è nuovo e forse un po' più vero. Non li ho mai capiti e per questo non riesco a puntare il dito contro Brandon Boyd e il suo Sons Of The Sea, realizzato e prodotto con Brendan O'Brien, storico produttore degli Incubus. Non riesco a urlargli in faccia, con i polmoni carichi di una rabbia quasi solida che ti si ferma in gola "eri meglio prima". Perché non è così, perché fare un paragone non avrebbe senso: perché non c'è un prima e un dopo, un meglio e un peggio. C'è solo il qui e adesso, come lo stesso Boyd ha ripetuto incessantemente durante una nostra intervista. E questo qui e adesso ce lo vogliamo godere.


"Sons Of The Sea" ha il sapore della brezza marina mista ad incenso, un concentrato di onestà che fluttua tra il contemporaneo e il datato, in precario equilibrio tra un'atmosfera sixties e un sogno. "E' un disco pop, ma un pop che ai ragazzi di oggi sembrerà più simile al jazz", - parole sante Brandon. Etichettare questo album come un disco pop significa ridurlo in catene, mutilarlo fino a farlo rientrare in una categoria, e lasciarlo soffocare, mentre invece sussurra di spazi aperti, dell'oceano che bagna la California e di libertà. La libertà di sperimentare con suoni nuovi, più elettronici e minimalisti delle aggressive chitarre elettriche; ma soprattutto quella di concedersi uno spazio di completa e incondizionata onestà. Che Brandon Boyd fosse un lyricista eccezionale era risaputo, ma forse mai come in questo ultimo album è stato così sincero. Mai scontati, mai banali, personali eppure così universali i testi di "Sons Of The Sea" parlano di sesso, quello vero che ti fa pensare che nulla sarà mai abbastanza ("Come Together"), di arte e della sua responsabilità a raccontare la verità, anche quando è troppo, anche quando fa male, ("Untethered"), del ricominciare di nuovo, tutto quanto, punto e a capo ("Great Escape"). I testi di Boyd accompagnati dalla musica di Brendan O' Brien fanno centro, si completano ed esplodono in dieci tracce colorate, gioiose e tristi allo stesso tempo, spensieratezza velata da malinconia, e rivelano una crescita rispetto all'ingenua onestà di "The Wild Trapeze". L'attacco al pianoforte di "Avalanche", il ritornello di "Where All The Songs Come From", quasi ipnotico, la sensualità bruciante di "Come Together" e la voce inconfondibile di Brandon Boyd, cristallina e flebilmente torbida: queste le perle che il mare nasconde nel suo grembo oscuro e profondo.

 

"Spending half the time
Holding onto "what is mine"
But there's enough space and time
To go around
What goes around
Comes around.
"

 

C'è abbastanza tempo per fare tutto: per crescere, cambiare, tornare come prima e reinventarsi. Ci sarà tempo e spazio per un ritorno degli Incubus, per il suono aggressivo delle chitarre elettriche e per ciò a cui siamo abituati. Ma questo è il tempo di farsi travolgere dalle onde dei figli del mare, dalla brezza dell'oceano, dal coraggio di cambiare e mostrare un nuovo lato di sé. E' il momento di abbassare il dito e godersi la bellezza e l'autenticità di chi ha cambiato la propria pelle, come un serpente, pur rimanendo lo stesso. Solo il qui e adesso perché, in fondo, "what goes around comes around".





01. Jet Black Crow

02. Space And Time

03. Untethered

04. Plus/Minus

05. Great Escape

06. Come Together

07. Where All The Songs Come From

08. Avalanche

09. Lady Black

10. Hey, That's No Way To Say Goodbye

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