Afsky
Sorg

2018, Vendetta Records
Black Metal

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 07/03/18

Anche Copenhagen partorisce di recente frutti malsani: dopo Odense e le nenie funebri dei Nortt, la capitale danese ha smesso di essere unicamente la patria della Sirenetta e la cenerentola del terrorismo sonoro artico. Dalla costola dei Solbrud nasce il solo project Afsky di Ole Pedersen Luk, mastermind dell'act madre; nome significativo e ambivalente, dal momento che il termine, traducibile in italiano con "disgusto", rende soltanto in parte l'idea alla base della proposta della one man band. Con l'esordio sulla lunga distanza, infatti, il musicista affronta certamente tematiche che afferiscono ai campi percettivi della ripugnanza e del ribrezzo, ma altresì diviene portavoce di potenti sentimenti dalla forte risonanza emotiva: l'evocazione del dolore assurge al ruolo di mastice di un lotto di brani limitrofi a un depressive black metal che guarda più alle coste nordamericane anziché ai fiordi dei cugini scandinavi.
 
 
I sette pezzi di "Sorg" scandagliano ipnotizzanti le acque oscure della nera fiaccola, preferendo mulinare intorno a melodie suggestive e inquietanti sulle quali il singer costruisce un flusso di intensità e livore marchiato da un'ugola incandescente e pregna d'acido, capace di liquefare cuori e cervelli. Un approccio crudo e poetico al tempo stesso, abile nell'evidenziare le disparate fasi che contraddistinguono il percorso della sofferenza, talvolta simile a un cupo rimorso, talvolta prossima alla rabbia: l'autore si inserisce in tale spettro di sfumature accogliendo nel proprio grembo compositivo inserti folk e doom in grado di conferire senso alle infinite declinazioni dell'essere. Uno strumming continuo e un blast beat proveniente da segreti recessi avvolgono l'ascoltatore in un maelstrom solenne e viepiù spietatamente misantropico.
 
 
Gli accordi lenti e in riverbero di "Jeg Bærer Deres Lig" celebrano la malinconia di un desiderio non consumato piuttosto che la sventura di uno sterile rimpianto: poi il ritmo muta, si fa altalenante, respira pesante e tetro, esplode in fragorosi torrenti di ghiaccio e progressivamente si trasforma in fiamma premonitrice e minacciosa. "Skær" invece, gloriosa nella sua desolazione, martella sin dall'inizio a elevato voltaggio, servendosi di un instancabile generatore di rullate e riff carichi di tensione, inframmezzati da un gemito centrale delle sei corde distorto e agonizzante sui toni alti. Se cascate d'acqua gelida aprono una "Sorte Vand" marziale e stampigliata da un saliscendi eufonico ricco di break e mitragliatrici, "Stjernerne Slukkes" concentra nel mezzo la violenza ferina, demandando all'intro in downtempo e a una chiusa riflessiva di conio post BM il compito di cauterizzare le ferite lancinanti dell'afflizione. Frattanto la chitarra acustica si atteggia a preludio della consueta raffica presente in "Vættekongen" e monopolizza la breve pausa strumentale di "Glemsomhedens Elv", prima che i violini di "Oh Månenløse Nat" penetrino attraverso le maglie di una notte senza luna: traccia tagliente come vetro affilato che nel finale gode di un'eterea voce femminile accompagnata da una scarna orchestrazione, a cui viene improvvisamente staccata la spina maligna dell'elettricità.
 
 
In una nicchia DSBM spesso inflazionata e ripetitiva, il moniker Afsky si ritaglia un posizione di tutto rispetto, lontano dall'esaltazione gratuita del suicidio e di svariate pratiche autolesioniste, costruendo un album adulto, testimonianza di uno spleen riflessivo e tormentato. Fortunatamente "something is rotten in the state of Denmark".




01. Jeg Bærer Deres Lig
02. Skær
03. Sorte Vand
04. Stjernerne Slukkes
05. Vættekongen
06. Glemsomhedens Elv
07. Oh Månenløse Nat

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