Più spesso di quanto sarebbe auspicabile, un ingresso mediamente convincente nel mondo della musica finisce per essere una pericolosissima arma a doppio taglio. Sarebbe infatti troppo lunga, per poterla stilare, la lista di artisti che, sollazzati dalle critiche positive ricevute dal primo album, si sono sentiti in diritto di tarpare le ali sul nascere alla ricerca di una qualsiasi evoluzione della propria musica, continuando a proporre immutato quanto già messo in mostra. In luce di ciò, sorprende la coraggiosa metamorfosi, nello spirito prima ancora nella forma, subita dal sound degli Still Corners nei soli diciannove mesi trascorsi dall’uscita dell’esordio “Creatures Of An Hour”.
Dal debutto la vocalist Tessa Murray e il polistrumentista e compositore Greg Hughes (coppia nella vita oltreché nella musica) riprendono i tempi posati e le atmosfere distese e oniriche, discostandosi però con decisione dalle originarie forti influenze dark-wave (di una “Circle”, giusto per fare un esempio). Basta, dunque, con le colorazioni cupe, basta con i frequenti goticismi tastieristici: tutto è riverniciato di fresco a tinte sgargianti, con una patina melodica estremamente catchy, che riesce però - miracolo - a non apparire troppo ruffiana e a non risultare mai indigesta. Ancora lì, immutata, la splendida voce della Murray, un po’ angelica un po’ ammaliante, sempre delicatamente sospirata.
Avviato dalle chitarre dinoccolate ma sorprendentemente coinvolgenti di “The Trip”, “Strange Pleasures” tiene fede al titolo della sua opener e nasce, si sviluppa e termina come un viaggio in slow motion, senza particolari deviazioni, tra atmosfere dense e sognanti, costruite ad arte da massicci dispiegamenti di synth. Loop di tastiera d’immediata presa e difficili da scacciare dalla testa, uniti a uno sguardo leggermente nostalgico verso gli anni ’80 (compaiono addirittura archeologici sfumini per chiudere le canzoni), sono il tratto distintivo di pezzi come il riuscito singolo “Berlin Lovers” o “Fireflies"; un’aria notturna e urbana avvolge gli scarni e pulsanti arrangiamenti di “Beatcity” e i sussurri di “Midnight Drive”; una delicata acustica fa da principale accompagnamento per l’inattesa, elegante “Going Back To Strange”, che ricorda il gusto per la melodia dei primi Ladytron.
Saranno l’airplay e le vendite a dirci quanto sarà stata azzeccata la scelta degli Still Corners: abbandonare il sound più peculiare, per quanto acerbo, degli esordi, per lanciarsi in un dream pop più aggraziato ma già proposto con successo da un’agguerritissima concorrenza (si pensi ai simili Savoir Adore o ai compagni d’etichetta Beach House). “Strange Pleasures” non diventerà una pietra miliare del genere, ma si difende comunque bene e resta un disco che ci sentiamo di consigliare, da tenere in seria considerazione come colonna sonora per una lunga guida autostradale notturna… magari con al fianco una buona compagnia con cui cogliere i suggerimenti di “All I Know”, dando una personale interpretazione dei prolungati “fire” e “desire” ripetuti nella sua lasciva conclusione.