Stone Sour
House of Gold & Bones - Part 2

2013, Roadrunner Records
Rock

Gli Stone Sour sono ancora in forma ma non ripetono il miracolo
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 03/04/13

Li abbiamo attesi, ci hanno sorpreso, li abbiamo premiati con un meritatissimo “Top Album” per “House of Gold & Bones - Part 1”, li abbiamo visti in concerto, li abbiamo incontrati e video-intervistati. Ora chiudiamo il cerchio accogliendo la seconda parte dell’ambizioso concept, questo “House of Gold & Bones - Part 2”.

A distanza di qualche mese dalla passata pubblicazione, la febbre Stone Sour è ancora abbastanza alta, l’onda lunga della prima metà concept ha ancora sufficiente vigore per approcciarsi al nuovo lavoro con quel misto di curiosità/trepidazione che sempre meno affiora nell’animo degli ascoltatori. Le coordinate di “House of Gold & Bones - Part 2” ovviamente non possono essere cambiate radicalmente, ci assestiamo infatti sullo stesso piano tecnico e compositivo del primo capitolo, in cui ritroviamo in musica le dichiarazioni di Taylor (non è stato così per la Part 1, andate a rileggere cosa disse il cantante): questa seconda parte è sì più oscura, sofferta, in cui il sentimento che pervade l’impianto lirico e musicale affiora in modo più deciso rispetto al passato.

Non a caso il tono generale del disco si fa più cauto, meno irruento e meno prettamente metal, lungo la tracklist troviamo meno brani potenzialmente papabili per diventare singoli travolgenti alla “Absolute Zero”. Sempre più pianoforte e arrangiamenti curati si fanno strada nel sound degli Stone Sour, alle prese con un numero di ballate o pezzi “riflessivi” importante, in cui la band sembra dare il meglio, cosa che non avviente negli episodi più muscolosi. Esempio lampante l’ottimo attacco con la sofferta “Red City”, un inizio di album delicato e insolito (e per questo molto riuscito), subito smorzato dalla banale e canonica “Black John”, sicuramente nel novero dei possibili nuovi singoli, ritornando su alti livelli con le due successive “Sadist” e “Peckinpah”, dove di nuovo si riabbassano i toni con Corey sfodera una prestazione maiuscola (almeno in studio, vedremo live).

Impossibile non fare paragoni con “House of Gold & Bones - Part 1” e il verdetto appare chiaro appena si scollina a metà scaletta: “House of Gold & Bones - Part 2” non vale il disco precedente. Troppo ingombranti brani come “‘82”, “The Uncanny Valley”, se vogliamo anche “Stalemate”, "Gravesend" e il singolo “Do Me A Favor”, pezzi che non sarebbero mai comparsi nella prima parte del concept, guarda caso tutti episodi nel classico ibrido rock/metal. Niente di così sbagliato o di inascoltabile, questa volta viene meno quel connubio tra scrittura filante ma non banale, potenza e sentimento, muscoli e cuore. Una sensazione sottile che potrebbe passare inosservata ascoltando solo la parte 2, ma che si palesa appena si passa al full uscito pochi mesi fa.

Rimane dunque l’idea che gli Stone Sour siano diventati, finalmente, una grande band in grado di mettersi alla prova a 360° in un’opera importante sotto molti punti di vista, di mostrare un grado di raffinatezza che anni fa era impensabile associare a Taylor e compagni, capaci di mettere in piedi oltre novanta minuti di grande musica, con un picco creativo che, vista la natura della formazione americana (che difficilmente cambierà dopo i successi mietuti), rimarrà probabilmente ineguagliato. Staremo a vedere.



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