Probabilmente non esistono aggettivi capaci di illustrare al meglio la capitale importanza dei Venom nella storia dell'estremo. Il gruppo inglese, considerato, insieme a Bathory e Celtic Frost, uno dei pionieri della nera fiamma, resiste sulla breccia dell'inferno da quasi quarant'anni, infischiandosene dei Venom Inc. di Abbadon, Mantas e Tony Dolan e solleticato da una gran voglia di espandere una già pingue discografia. Nel nuovo LP in studio, terzo consecutivo realizzato con La Rage e Danté e ultimo sotto l'egida della Spinefarm Records, l'inossidabile Cronos abbandona le tentazioni atmosferiche di "Fallen Angels" (2011) e la moderna pulizia di "From The Very Dephts" (2014) e procede a ritroso nel tempo: "Storm The Gates" si presenta come un album volutamente obsoleto, dal missaggio confuso e una produzione ripugnante, con chitarre così distorte da scorticare la pelle e un lavoro di batteria che preferisce insistere sui sordi clangori della grancassa e sul brillante crepitio dei piatti per restituire alle masse gli echi nauseabondi del Flegetonte. Una congerie di caratteristiche, a cui bisogna aggiungere testi pregni di un simpatico lerciume, che richiamano alla memoria la sporcizia e la cattiveria picaresca degli esordi.
Peccato che questo ritorno alle radici della vecchia scuola venga in parte rovinato da un paio di filler ("Notorious" e "Storm The Gates") e, soprattutto, da un'identità sonora dalla quale riesce difficile estrarre le componenti stilistiche fondamentali: quando il combo, infatti, opta per brani dalla costruzione complessa, la strada diventa improvvisamente in salita. I rallentamenti sinistri di "Destroyer" ammiccano al doom sulfureo dei primi Morbid Angel, le ritmiche robotiche di "Suffering Dictates" stuzzicano fantasie simil-industrial: ma si rimane in una terra di nessuno ricca di ramificazioni contorte che ottengono soltanto l'ambiguo premio di appesantire il lotto.
Se i nostri, però, tornano a obbedire a quei canoni di efferata semplicità che permisero loro il raggiungimento dello status di band di culto, i risultati non tardano ad arrivare: l'aroma dei Motörhead più rancidi in "Bring Out Your Dead" e "We The Loud", le lusinghe nu metal dell'oscura e granitica "I Dark Lord", l'heavy speed di "Dark Night [Of The Soul]", l'attitudine crust di "Beaten To A Pulp", la plumbea adrenalina di "Over My Dead Body", la filigrana NWBOHM di "Immortal", rappresentano irriverenti ordigni a tinte proto black/death imbrigliati in perenne implosione. Il timbro vocale del frontman, poi, trova meravigliosamente il suo posto nel trambusto che lo circonda, e malgrado a volte resti sommerso dai troppi effetti di riverbero degli strumenti, raspa tra l'accigliato, il penetrante e l'appiccicoso con crudele sicumera. Tocca invece al macigno slayeriano "100 Miles To Hell" e all'incendiaria "The Mighty Have Fallen" indicare la strada maestra della barbarie e l'anemia definitiva del rullante.
Di certo, in "Storm The Gates" la compattezza strutturale non sembra l'aspetto da evidenziare in positivo: eppure, mentre da un lato il platter appare preda di un'ansia cumulativa degna di un fucina musicale frenetica e sconclusionata, dall'altro proprio tale disordine ne costituisce il fascino maggiore. Perché i Venom e il Caos, sono, da sempre, amici fraterni.