Lo si evince dal cantato potente e disperato del bassista/cantante/mastermind Gabriel, ma anche da pezzi in your face molto brevi (alcuni, come "Loathe", non raggiungono il minuto), caratterizzati da un songwriting asciutto e preciso. Ad impreziosirli e ad accrescerne la potenza distruttiva ci pensa una produzione davvero ottima, brutale e graffiante, ma che rende giustizia a ogni singolo membro dell'orchestra killer: nulla di plasticoso, sia chiaro, nulla di "acchiappone", meglio specificarlo, di questi tempi. Non c'è spazio per assoli, e quelle brevi quanto sporadiche incursioni melodiche, dalla concezione armonica scarna e desolante, sono piene di rabbia per la società ingiusta e auto-distruttiva in cui viviamo, protagonista concettuale, insieme a tonnellate di livore, dell'intero lavoro. Un secondo opus, questo "Subjugate", che corregge drasticamente il tiro rispetto al predecessore, con brani ancora più ricchi di mordente, ma anche di influenze mai nascoste o velate ("Paradox" non avrebbe sfigurato in "All We Love We Leave Behind" dei Converge, per non parlare di "Cult of El", tributo duro e puro agli Entombed): tanti piccoli tasselli piazzati tutti al posto giusto e al momento giusto, tra sfuriate, momenti groovy e sinfonie di feedback, tenuti insieme dal drumming preciso e potente di Guido e dal basso del già citato Gabriel "Gabbo" Dubko.
I riff diretti e senza sbrodolature o tecnicismi della possente "Desolated Winds" o dell'assassina "Totalitarian" non saranno nulla di nuovo, ma al contrario di tante altre band, gli Implore compensano la mancanza di originalità con un songwriting sapiente e intelligente, tutto votato alla resa live (il loro habitat naturale), rendendo "Subjugate" una precoce conferma della loro qualità. Pura, semplice, nera ignoranza.