Temple Of The Dog
Temple Of The Dog

1991, A&M Records
Grunge

Recensione di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 02/10/13

"Fino a quel momento, la vita era stata così buona con noi musicisti di quell'ambiente, tutti impegnati attivamente a creare musica... Il mondo era nostro, avevamo aiuto, ci aiutavamo l'un l'altro, e lui era un po' il faro che indicava la strada a tutti. Vedere [Andy] attaccato a tutte quelle macchine ha determinato la fine dell'innocenza della nostra scena musicale." (Chris Cornell)

 

La perdita dell’innocenza del Grunge, semmai ce ne sia mai stata una qualche parvenza, non esplose dalla canna del fucile che pose fine alla vita di Kurt Donald Cobain il 5 aprile 1994. Quel proiettile fu più che altro l’estremo emblema di un ragazzo, di una generazione senza punti di riferimento forti, rassicuranti da ammirare e su cui aggrapparsi.


Il Grunge nasce, o meglio, diventa frettolosamente adulto  proprio perdendo l’innocenza di un ambiente musicalmente sano ed altruista quale era la Seattle di fine anni ’80: lo stesso Chris Cornell ricorda in “PJ 20” come all’epoca rimase stupito ed esterrefatto per le forti ed aspre rivalità che serpeggiavano tra i vari artisti, tra le varie band in città come New York o Los Angeles, e di come si accorse che Seattle, i suoi sobborghi, i suoi locali sempre stracolmi di ragazzi alla spasmodica ricerca di musica nuova, fosse una sorta di isola felice, dove tutti si aiutavano l’un l’altro, dove le band andavano a sentire e supportare chi in altre parti d’America sarebbe stato considerato un “acerrimo rivale”. La perdita di quest’innocenza ha una data precisa:  19 aprile 1990 (mese infausto aprile per il Seattle Sound), ovvero la morte per overdose di Andrew Wood, talentuoso e carismatico cantante dei Mother Love Bone, amico fraterno nonché coinquilino di Chris Cornell proprio in quegli anni.

Wood non è mai passato inosservato: traeva spunto dall’estetica Glam Metal vestendosi in maniera vistosa ed atteggiandosi da rockstar, eppure i testi che cantava lasciavano intravedere in più d’una occasione un’introspezione ben più profonda rispetto al genere musicale di riferimento apparente. Fu grazie al suo talento che arrivò ad un passo, assieme ai compagni d’avventura Stone Gossard e Jeff Ament, dall’esposizione mediatica di massa, il tanto anelato trampolino di lancio. Un passo che divenne caduta dolorosissima: overdose, coma di tre giorni e decesso nonostante la terapia intensiva. Un evento shockante per tutto l’ambiente musicale di Seattle, un evento dal quale nacque il fugace ma importante e toccante tributo che riuniva a sé i musicisti-amici più stretti di Andrew Wood.

Nella loro breve ma importante esistenza, i Temple Of The Dog vedevano Chris Cornell alla voce, un timido Eddie Vedder nei cori ed eccellente completamento del cantante dei Soundgarden in “Hunger Strike”, un talentuoso Mike McCready alla chitarra solista, Matt Cameron alla batteria, i già citati Stone Gossard e Jeff Ament alla chitarra ritmica e al basso, ed il produttore Rick Parashar negli innesti di pianoforte. Insomma, all’epoca e a tutt’oggi, non certo i primi arrivati, non certo degli sprovveduti.

Ballate placide e catartiche come l’opener “Say Hello 2 Heaven”, l’ossessione psichedelica ed incontrollabile insita negli oltre undici minuti di “Reach Down”, la preghiera rabbiosa di “Wooden Jesus” o l’evocativa nenia di “Hunger Strike”, l’emozionante “Call Me A Dog”, la dolcezza di "All Night Thing": aspetti policromatici di un medesimo stato d’animo che in sé racchiude più e più sensazioni, emozioni, attimi irrefrenabili e momenti di riflessione; un album sfogo e dedica, brani che presto scompariranno dai palchi ma mai dalla memoria dei loro protagonisti, che difficilmente vedrà insofferente e distaccato l’amante di un’epoca musicale così rapida, fugace, dolorosa eppure così tremendamente proliferante talenti e qualità.

Un tributo al Grunge quando ancora non era definito tale, ecco cos’è “Temple Of The Dog”, ecco cosa sono i Temple Of The Dog: fondamentale crocevia tra passato, presente e futuro che all’epoca delineò in maniera precisa e definita quelli che furono i vecchi e quelli che sarebbero stati i nuovi cardini tipici dello stile grunge, quel misto di sferzate punk e venature blues, quel retaggio hard rock ma ruvido come solo gli anni Novanta sarebbero stati e sono effettivamente stati, l’introspezione e la catarsi esternatrice che esplode in qualsiasi forma possibile pur di non implodere dentro di sé.



01. Say Hello 2 Heaven
02. Reach Down
03. Hunger Strike
04. Pushin' Forward Back
05. Call Me a Dog
06. Times of Trouble
07. Wooden Jesus
08. Your Saviour
09. Four Walled World
10. All Night Thing

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