Esordienti ma già chiacchieratissimi, i Temples hanno bruciato parecchie delle tappe usualmente percorse dalla maggioranza delle band, lanciandosi a un paio di settimane dall'uscita del loro debutto nella top 10 delle classifiche britanniche, e facendosi riempire di elogi da Johnny Marr e (udite udite) Noel Gallagher. Merito, senza dubbio, di scelte musicali populiste volte a far leva sulla nostalgia Beatlesiana dell'anglosassone medio, conducendolo a una comprensibile esaltazione: si tratta in fondo di coetanei degli One Direction che si fanno portabandiera dell'arrembante revival dell'analogico, tra rumori bianchi e overdrive psichedelici, smacchiando i Sixties da decenni di ragnatele e indesiderate aggiunte elettroniche.
Ma sdoganati e ruffiani per quanto (indubbiamente) sono, i quattro ragazzi londinesi paiono tanto integralisti e anacronistici da convincere che il loro sia un tributo sincero, un omaggio umile ma suonato con parecchio mestiere e talento. Le genialate più orecchiabili di "Sgt. Pepper", così come i riff più penetranti e prolungati dei Kinks, vengono rielaborati da un estro creativo che potrebbe essere quello di una versione meno danzereccia dei Kasabian, o di una più lucida dei Tame Impala: ne vengono fuori dodici pezzi formalmente perfetti, guidati dalle simmetriche melodie di "The Golden Throne", dalla travolgente coda strumentale della title track, dal pregevole dittico composto dalle armoniose "Colours To Life" e "Move With The Season".
L'impeccabilità, però, da sola non basta a fare di un album un nuovo classico: soprattutto, è proprio di "nuovo" che l'esordio dei Temples non possiede assolutamente nulla. "Sun Structures" ripercorre il passato pedissequamente, senza fare nemmeno finta di instillarvi qualche germe di sperimentazione, qualche invenzione che lo discosti da strade già battute tante, troppe volte: così, per quanto sia un esercizio archeologico interessante ed egregiamente condotto a termine, non può riuscire a scrollarsi di dosso le meste sembianze del fine a se stesso, o suscitare un interesse che sia più che transitorio.