Dopo quattro album tornano sulle scene gli olandesi Textures con "Phenotype", un concept (doppio, che troverà conclusione con il successivo "Genotype" in uscita il prossimo anno) basato sulla genetica e più precisamente sul fenotipo come insieme di caratteristiche circostanziali mutevoli degli esseri viventi.
Rispetto ai precedenti lavori si nota subito una sostanziale diversità negli arrangiamenti: mentre l'impianto melodico e armonico flirta di sovente con le atmosfere di "Silhouettes" e "Dualism", le parti meramente strumentali hanno una certa vicinanza con i primi dischi della band ma sono variate nella dinamica ambientale, con i synth di Uri Dijk che si ritagliano uno spazio di rilievo, sempre ben mirati e utili nel colorare sezioni altrimenti troppo monocromatiche.
L'opener "Oceans Collide" suona subito come un' asserzione fiera, tra vocals avvelenate, chitarre dittatoriali e inserti elettronici che aprono un cielo di paesaggi sonori di chitarre clean e pad eterei, il tutto sorretto da un incredibile Stef Broks dietro il drumkit.
Il singolo "New Horizons" si fregia di melodie vocali ricercate ma catchy, sciabolate chitarristiche e voci aggressive incanalate in una costruzione che evita la banalità grazie ad una gestione intelligente delle codette sul pentagramma. Altro pezzo di lancio è "Shaping a Single Grain Of Sand", sorretta da una poliritmia nevrotica attorcigliata a viscidi riff grassi che virano poi verso l'abisso in una evocativa e oscura parte centrale, deliziosamente appestata da venature distorte di chitarra e voci filtrate. "Illuminate The Trail" è l'ennesima traccia in cui fa capolino un mood alla "Dualism", appena prima dell'intermezzo di percussioni "Meander" e del riff tritaossa di "Erosion". Una manieristica "The Fourth Prime" anticipa una eterea "Zman", meravigliosa strumentale pianistica con suoni di sottofondo carezzevoli e lontani.
La conclusiva "Timeless" è un ottimo sunto dell'album, con quel fraseggio atavico, persistente ed inesorabile volto a pilotare l'estro di Daniel De Jongh prima del naufragio pianistico.
La produzione si presenta come moderna e asettica in piena linea con il genere e con il concept. Rispetto al passato infatti i suoni sono ancora più puliti e levigati e anche quelli distorti hanno un che di clinico e chirurgico. Le chitarre sono naturalmente preponderanti nel sound, ma comunque innestate in un quadro olistico insieme al resto degli strumenti, che mantengono una presenza sonora invidiabile per tutto il lavoro grazie anche alla maestria tecnica fuori dal comune della band.
In sintesi, "Phenotype" non delude di certo le aspettative dei fan e anzi potrebbe riportare all'ovile i delusi dall'approccio stilistico del precedente lavoro. La quadratura definitiva del cerchio avverrà solo l'anno prossimo - con la seconda parte che presenterà le stesse melodie arrangiate in maniera diversa - ma viste le premesse si potrebbe già prevedere una riuscita su tutti i fronti.
Come direbbero in questi casi ad Amsterdam, "Mooi!!".