L'apertura, affidata all'hard/sleaze dal piglio deciso e metallico di "Two Horns Up", pezzo impreziosito dalle harsh vocal di Dani Filth, lascia presagire un sound ancora fresco e privo di ruggini evidenti; sensazione confermata da "27 & Done" e "Black Orchid", brani in bilico tra il chitarrismo groove'n'roll della coppia d'asce Bazie/Timo-Timo, gli irresistibili refrain dalle velleità dark rock e la timbrica inconfondibilmente baritonale di Jyrki.
Se "Change", invece, pigra e uggiosa, rivela il lato più tenebroso della band di Helsinki e il reticolato punk di "Burn Witch Burn" ha il merito di riesumare i Bauhaus della prima ora, "Cheyenna" rappresenta la classica concessione, forse anche necessaria, al gothic pop d'atmosfera di matrice britannica. Non può mancare, poi, il memento cine-horror con l'aggressiva "The Last House On The Left", che vede la partecipazione di Wednesday 13 e Calico Cooper, mentre un appassito intreccio di bridge tastieristici marca l'appiccicosa ballad "Death & Desire". La tirata " The Outsiders", dalla vaghe movenze lostboysiane, prepara il terreno a un finale nel quale convivono allegramente (ma non troppo) gli umori sinistri à la Johnny Cash di "Here Be Now" e il flemmatico blues di "Hell Has No Mercy".
I lustri trascorrono crudeli, eppure i The 69 Eyes restano ammalianti e persuasivi: da accorti vampiri, evitano di guardarsi allo specchio, azione narcisistica fatale a noti gruppi finnici (Charon, HIM, To/Die/For), giocando sul sicuro senza strafare. I mentori della decadenza, d'altronde, si trovano a proprio agio nei labirinti in rovina del "West End".