Quinto album per una band irlandese che si è fatta da tempo le ossa in giro per il mondo con i grandi (basti sapere che sono stati supporters di Whitesnake, Rolling Stones e Aerosmith) e che oggi, nonostante l'ancora latitante grande attenzione mediatica, è essa stessa tra le influenze della classe di quei grandi per cui ha aperto. Jimmy Page e Joe Elliott li hanno addirittura citati come fonte di ispirazione e un motivo ci sarà. Infatti c'è, eccome: i The Answer offrono più di una ragione ben percepibile nel nuovo "Raise A Little Hell" che ha il sicuro pregio di mettere le cose in chiaro sin da subito, sin dal riff iniziale in stile "Woman From Tokyo" dell'opener "Long Live The Renegades": vale l'acquisto del cd soltanto la scelta coerente di fregarsene altamente delle mode e di restare sempre saldi al rock n' roll di vecchio stampo che li ha resi riconoscibili nei quattro episodi discografici precedenti e che li riconferma novelli Black Crowes proiettati indietro negli anni ‘70.
In generale, dunque, il modus operandi è sempre lo stesso, ritoccato soltanto qua e là con piccoli aggiornamenti benefici come nel caso del chorus dalle venature celtic-folk di "The Other Side" o negli arrangiamenti della successiva "Aristocrat". E' la quarta traccia, "Cigarettes & Regret" - a mio avviso la migliore canzone su disco - ad introdurre alla prima vera (e gradita) sorpresa, con una svolta nell'universo Lynyrd Skynyrd guidata dal pedale wah wah a cui segue poi l'altrettanto riuscita "Last Days Of Summer", basata sulla stessa formula sperimentale di Lee Bains III. L'amalgama fino a questo punto è dei migliori: sembra seriamente di ascoltare un disco pescato a caso dallo stesso scaffale di "In Through The Outdoor". Purtroppo però una forte inchiodata riporta bruscamente alla realtà: inspiegabilmente, infatti, tutto crolla giunti alla ballata "Strange Kinda' Nothing", il cui livello qualitativo precipita nei meandri viziosi dei Nickelback, non tanto nelle corde dei ragazzi (e meno male). Per fortuna ci si riprende in modo veloce dallo shock - durato più di 5 lunghissimi minuti - con l'Ac-Dc style abituale di "I Am What I am", inno rock n' roll orgoglioso accompagnato dal solo di chitarra di Mr. Mahon da vera star del glam rock. Ma ecco che, quando la ricezione del messaggio sembra essere totalmente assicurata dalla frustata di "Whiplash", il successivo rilassamento nei ritmi rimette di nuovo in guardia, dato il precedente blackout e aleggia nelle prime note di "Gone Too Long" lo spettro di un ennesimo calo di qualità. Falso allarme: il groove blues rock riesce a sorreggere bene il pezzo che, anzi, contribuisce, insieme alla stoccata "Red" / "I Am Cured", ad assestare la definitiva ripresa dell'album.
Ci pensa la title-track poi a siglare il tutto col suo orientamento deciso, degno dei migliori Rival Sons. Si perfeziona così un buon album, non perfetto ma dalle composizioni coinvolgenti, calde e sanguigne, percorse da striature heavy-blues a tratti emblema della tradizione celtica, a tratti del classic rock mid-Seventies più scatenato. Il risultato è decisamente raro, oltre che atipico. Di sicuro, molto appagante.