Houston, Texas: quartier generale degli Oceans Of Slumber. Ad appena due anni dalla pubblicazione dell'incompiuto e seducente "Winter" (2016), debutto della band su Century Media, gli statunitensi si ripresentano con un "The Banished Heart" probabilmente apice della loro ancora breve carriera discografica. Su una robusta base progressive metal i nostri mescolano death e gothic in un intrigante e incantevole melting pot sonoro: una giustapposizione di break strumentali, melodie emozionanti e brutalità eruttiva gestita con perizia e ispirazione dalle capacità tecnico-compositive dal batterista e leader Dobber Beverly e dalle linee vocali di una Cammie Gilbert mai così espressiva e delicata.
L'opener "The Decay Of Disregard" indirizza alla perfezione nelle tematiche del platter: i minacciosi 88 tasti risuonano al pari di campane di natura premonitrice. Un riff pesante e profondo brontola nella parte centrale alla stregua di qualcosa che freme al fine di uscire da una vetusta prigione interiore: gli accenti viscerali della singer procurano il carburante per un lamento disperato, che accompagna l'ascoltatore in un tragitto nei cupi recessi della mente. Aree che si tenta di bloccare, tuttavia impossibili da rimuovere. "Fleeting Vigilance" parte a velocità moderata, con l'harsh voice del chitarrista Sean Gary pronta a fornire il rovescio della medaglia, ricordando che i fiori del Giglio della Valle appaiono affascinanti, ma contengono un veleno pericoloso. Negli otto minuti e mezzo di "At Dawn" la frontwoman racconta di trovarsi "right on the edge of no return": in un tessuto di passaggi lenti e strazianti emerge una rabbia incontenibile che sposa le scale minori ai tempi dispari. Una storia di sventura a cui forse alla fine non si riuscirà a sopravvivere e dalla quale si cerca di trarre ogni risorsa per mitigare l'ineluttabile destino. La title-track, oscura e fragile, vaga in esilio, abbandonata alla vulnerabilità del vento, in attesa che ciò che sta per accadere si verifichi: un profondo e indefinibile desiderio si colora di amarezza e indignazione, il malessere di una resa commovente.
L'instrumental "The Watcher", sebbene offra un attimo di respiro, pulsa come un avvertimento profetico, promettendo un rientro nelle tenebre: "Etiolation" rappresenta il ritorno into the void. Le sezioni in growl e le scintillanti interruzioni al piombo delle sei corde cozzano contro l'ugola pulita e nera della Gilbert: un confronto aperto e sommesso che palpita dappertutto, riflesso nel ponderato lavoro al basso di Keegan Kelly. Nella rivelatrice "A Path To Broken Stars" le stelle rappresentano simbolicamente i sogni di una vita di là da venire colma di brame soddisfatte: quando si frantumano, il sentiero da percorrere per un futuro felice diventa inutile. La pressione della speranza e dello sconforto costituisce la chiave di volta del sound della traccia, in un rincorrersi continuo di fughe e contrappunti, di djent e armonia classica.
Segue "Howl Of The Rougarou": i cordofoni distorti, anticipati da un'intro acustica dal sapore folk, si incuneano nelle sinapsi: una corrispondenza analogica con il licantropo della tradizione francese, una creatura torturata spinta a uccidere e a nutrirsi di se stessa, senza avere alcuna memoria del proprio Mister Hyde, senza riconoscersi nell'orrore. Poscia la pianistica "Her In The Distance", celebrante l'ambivalenza della separazione e della lontananza, in "No Colour, No Light" il luttuoso duetto con Tom Englund degli Evergrey evoca due anime che si cercano l'un l'altra nell'oscurità, tentando di stabilire invano un contatto in grado di squarciare il triste velo della notte eterna. Chiudono i synth e le tastiere malinconiche di "Wayfaring Stranger", rivisitazione gospel-soul di uno standard popular del XIX secolo: un mesto commiato dopo un viaggio penetrante e sofferto tra le pieghe dell'animo umano.
Benché la presenza in filigrana di Cynic, Enslaved, Opeth e Pain Of Salvation lascino un'impronta riconoscibile e qua e là nell'album non manchino momenti di stanca, stupisce la maturità degli Oceans Of Slumber nel maneggiare linguaggi diversi con competenza e notevole spessore lirico: difficili da catalogare, intensi per elezione.