Greta Van Fleet
The Battle At Garden’s Gate

2021, Lava/Republic Records
Rock

I rocker del Michigan tornano sulle scene con il loro secondo full-length “The Battle At Garden’s Gate”, un fantasioso vagabondaggio tra le strade di un rock dal sapore retrò.
Recensione di Isadora Troiano - Pubblicata in data: 16/04/21

Se esiste una verità assoluta sui Greta Van Fleet è la loro capacità di polarizzare l'opinione degli amanti del rock sull'annosa polemica che nacque nel momento in cui fu emessa la prima nota dalla band dei fratelli Kiszka. In molti si sono chiesti - cavallo di battaglia dei detrattori - come abbiano fatto i Greta Van Fleet a emergere dal mare magnum delle giovani band con uno stile e dei brani che rimandano sfacciatamente a - non li nomineremo - un gruppo inglese famoso negli anni ‘70 e diventato leggendario nella storia del rock.

 

La risposta non è così ovvia come può sembrare. I quattro ragazzi del Michigan, poco più che ventenni ma già al secondo full-length, sembrano avere sulle spalle un macigno, fatto di musiche e atmosfere che vengono da un'epoca che anagraficamente non appartiene loro, ma nella quale si sono identificati e della quale si sono appropriati. Quanto è lecito chiedersi se si tratti di un'appropriazione indebita visto che nessuna generazione può essere impermeabile a quella precedente, meno che mai se si parla di arte? Chi può decidere che a dei ragazzi ventenni non sia permesso di fare propri simboli, sonorità e stili che non fanno parte della loro epoca? Quello che si può affermare è che i Greta Van Fleet abbiano preso la passione per alcuni di questi e li abbiano riversati nella propria musica, rendendoli il proprio marchio di fabbrica e pure vincente, visto il successo discografico, radiofonico e live dei quattro ragazzi statunitensi.

 

"The Battle At The Garden's Gate" è il ritorno dei Greta Van Fleet dopo tre anni di assenza discografica, ed è un tuffo in un'enorme stanza drappeggiata di tappeti persiani, illuminata di candele e profumata da incensi, piena di gente adorna di perline, lunghi capelli fluenti e jeans a zampa d'elefante, e magari munita di un'enorme vetrata che affaccia sulle colline di una Los Angeles d'altri tempi e sull'Oceano scintillante. L'atmosfera che pervade l'intero disco è smaccatamente anni ‘70, con tutti gli elementi sonori del caso, dalle campane tubolari all'organo agli archi, ma soprattutto nella struttura ritmica e melodica dei brani e nell'impostazione vocale ben nota del cantante Josh Kiszka, complice anche la produzione patinata di Greg Kurstin. I brani già pubblicati, in particolare "Heat Above" e "My Way, Soon", sono anche gli apripista del disco, e rappresentano il raccordo con il lavoro precedente: le melodie spensierate e i riff accattivanti sono sicuramente un ottimo antipasto per chi sta aspettando da ormai tre anni il ritorno dei ragazzi del Michigan. Gli altri due brani che già conoscevamo, "Age Of Machine" e "Broken Bells", rappresentano meglio le componenti fondamentali del disco, che si scoprono addentrandosi maggiormente in "The Battle At The Garden's Gate". Si nota infatti, da parte dei Greta Van Fleet, il desiderio puro e semplice di esprimersi come artisti al di là delle critiche e delle mosse commerciali. Non si troveranno brani lampo, hit da classifica e ritornelli catchy, anzi l'esatto contrario: brani dal minutaggio importante, vagabondaggi liberi nelle sonorità di un rock dal sapore retrò, abbondanti stacchi e testi sognanti, legati a fantasie su mondi antichi e civiltà perdute. Ascoltando canzoni come "Trip The Light Fantastic" e "Caravel", emerge una maggiore maturità compositiva, quasi un lasciarsi andare alla musica come flusso di coscienza. Gli arpeggi del chitarrista Jacob Kiszka, il ritmo cadenzato e preciso della sezione ritmica del terzo fratello Kiszka, Samuel e del batterista Daniel Wagner, l'uso frequente di controtempi e le armonie malinconiche proiettano facilmente l'ascoltatore nel mondo onirico creato dai Greta Van Fleet.

 

Queste caratteristiche sono sia il pregio che il limite di questo disco: se da un lato abbiamo quattro musicisti di talento, evidentemente pronti al grande salto verso un'affermazione artistica che vada oltre agli stereotipi, dall'altro sembra che questo non venga mai davvero spiccato. Forse, chi rimane più deluso è quel pubblico che ricerca nei Greta Van Fleet qualcosa che non sono, che esige un distacco dall'intoccabile passato del rock e che ne giudica la trasversalità temporale come un difetto e una spersonalizzazione. La ricerca della quasi proverbiale "vera identità" dei Greta Van Fleet sembra essere il cruccio di un'intera generazione di amanti del rock. Chi sono davvero? Ma la risposta potrebbe già essere davanti ai nostri occhi e dentro a questo album.





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