The Chemical Brothers
Born In The Echoes

2015, Virgin EMI
Elettronica

"No Time To Rest, Just Do your Best": Detto fatto.
Recensione di Giovanni Maria Dettori - Pubblicata in data: 06/09/15

Non mancavano che loro all'appello dei grandi ritorni, soprattutto nel panorama elettronico, più che mai in quell'olimpo di menti che negli anni '90 ha sdoganato la "Dance" da genere di semplice intrattenimento, portandola ad un livello, più che successivo, azzarderemmo superiore, grazie all'utilizzo di strumenti veri, e strizzando l'occhio alla cultura musicale pop/rock. 


Alla fine, per capire di chi stiamo parlando, basta andare per esclusione, anche perchè gli artisti di questo calibro si tengono sulle dita di una mano: proviamoci insieme. I Daft Punk hanno già fatto il loro, indovinatissimo, passo, più di un annetto fa' , di recente si sono mossi anche i Prodigy, certo in maniera un po' meno convincente, per terzo c'è Fatboy Slim, che però si fa sentire con una certa regolarità... L'anulare della vostra mano spetta a loro: i Chemical Brothers sono tornati!

 

E che ritorno, aggiungeremmo: "Born In The Echoes" è un album indovinato, che riesce a far muovere tre generazioni di ascoltatori, con la sua ricchezza di suoni che esplorano più e più influenze già in passato sperimentate, ma che in questo lavoro vedono una rigenerazione.

 

Basti pensare a "Go", il primo estratto, che nelle radio si fa sentire, e si può sentire, binomio che non sempre coincide, nella melma che è diventata la trasmissione radiofonica. La voce di Q-Tip (ricordate "Galvanize"?) su un basso funkeggiante, che si apre in un esilarante e canticchiabile ritornello. Già, perchè neanche stavolta le collaborazioni sono mancate, ed il livello di alcune è decisamente alto. La successiva "Under Neon Lights" vede infatti nel suo delicato caos digitale la presenza di Annie Clark, in Arte (con la A maiuscola), Saint Vincent, che regala un tocco di ipnotica classe al tutto. Non mentiamo nel dire che il disco in buona parte strizza l'occhio anche al mondo della club music, con particolare riferimento alla garage music manchesteriana, ma senza scadere mai nel ripetitivo o nel banale: basti vedere la più che buona riuscita di pezzi come "Sometimes I Feel so Deserted" e "EML Ritual", e più che mai "Just Bang", che pur ondeggiando parecchio sul limite della modestia, non vi cade. E visto che qui non si lascia nulla al caso, possiamo dire con certezza che il disco ha comunque un'anima che si allontana dal mero "intrattenimento dance", quello che ti vuole far ballare per forza per intenderci, ed è proprio questa la sua forza: basta ascoltare "I'll See You There", fusione di "Noise" e di una coinvolgente batteria Trip-Hop, oppure "Taste Of Honey", il cui incantevole minimalismo è interrotto dalla contaminazione di un ronzio e di una chitarra letteralmente "grattugiata", in una climax che si scioglie, per tornare sui suoi passi, per la gioia dell'ascoltatore. 


La Title Track "Born in The Echoes" riesce a far saltellare anche solo con un synth-bass ed una batteria uscita dai '60, pur non sprecandosi più di troppo. "Radiate" svolge una funzione di "filler", e suona un po' monolitica, per migliorare aprendosi nel finale con delle bizzarre campane elettroniche. Il disco non finisce qui, anche se vi era tutta l'aria: giusto perchè si parlava di collaborazioni importanti, tocca adesso a Beck, con la placida e melodica "Wide Open", che suona un po' come i Daft Punk sotto narcotici, ma che ci piace, visto che i ritmi forsennati nel disco non sono comunque mancati.

 

Il vero pregio di questo "Born In The Echoes" è che qui la dance non è mai un semplice "tappeto" per l'allestimento di un'atmosfera: il disco crea da solo una sua perfetta dimensione, la cui essenza è intrisa di suoni, stili, ritmi, e arricchita da un sottilissimo velo di caotico piacere. Non servono luci stroboscopiche, non servono laser. Funziona tutto a meraviglia così, semplicemente ascoltandolo da capo a fondo. Riuscire in tutto ciò non era così facile: qui si vedono i 20 anni di carriera, ed ancor più l'innato tatto con la materia. Certo non è un album perfetto, e in fondo non eccessivamente rivoluzionario: sicuramente non lo vedremo rimbalzare in testa alle classifiche, anche perché mancano le hit", ma si vede che dietro la sua composizione c'è una certa riflessione, un'idea, mirata in particolar modo a quali direzioni prendere, e fondamentale per non ripetersi (buona parte di quello che è mancato ai Prodigy insomma).


Consigliamo anche la Deluxe Version, con 2 ulteriori inediti, e due remix.


Un ottimo punto d'arrivo. Ed un reale punto d'inizio per il futuro. Bentornati, Fratelli Chimici!





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