The Dream Syndicate
The Universe Inside

2020, ANTI- Records
Psychedelic Rock

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 07/04/20

Capifila, negli anni '80, del Paisley Underground californiano insieme a Green On Red, Opal, Rain Parade, The Long Ryders, Thin White Rope e Three O'Clock, i The Dream Syndicate ne rappresentarono senza dubbio il fiore all'occhiello, nonostante importanti abbandoni (soprattutto Karl Precoda e Kendra Smith, qui presente in un cameo vocale) e un lungo scioglimento. Il gruppo si pose all'avanguardia oscura del movimento, rileggendo il lascito psichedelico della decade precedente attraverso il jingle jangle dei The Byrds, le autoanalisi dei Velvet Underground, le cavalcate plumbee di Neil Young, il garage acido dei Television. Uno stile, quello dei losangelini, tagliente e nervoso, sottoposto a miriadi di influenze, capace di evocare, eccetto qualche banale deriva pop, atmosfere metropolitane viziose e maledette. Caratteristiche, queste, rilevabili sino ai dischi concepiti prima della reunion nel 2012, quando il sound, meno imperniato sulle chitarre, diventa espanso e caleidoscopico, raggiungendo, in "The Universe Inside", l'acme sperimentale.

La visionaria e sulfurea "John Coltrane Stereo Blues", contenuta nell'album "Medicine Show" (1984), sembra, a tutti gli effetti, la diretta progenitrice della traccia iniziale del nuovo lavoro: il viaggio nel microcosmo newyorchese di "The Regulator" è frutto di una lunga improvvisazione in studio, una jam session il cui connubio di motorik beat e psych-funk fluisce sui binari dall'elettronica vintage e del free jazz. Una suite che rapisce e assorbe l'ascoltatore in un vortice fantasmagorico perennemente mobile, ricco di sottigliezze e folgorazioni, nel quale il dominio strumentale - relativo - spetta al sitar elettrico di Stephen McCarthy e al timbro junkie dello storico leader Steve Wynn. 

"The Longing", invece, suona lunatica, narcolettica, più Mazzy Star che Wall Of Vodoo, scolpita da riverberi ambientali e figlia degli arcobaleni lisergici ricamati del tastierista Chris Cacavas. A seguire, "Dusting Off The Rust" attinge a Neu! e Soft Machine, risultando al tempo stesso allusiva e volubile, con il sax e la tromba di Marcus Tenney e le percussioni à la Arto Moreira di Johnny Hott che conferiscono all'intingolo un elegante sapore kraut/fusion. Nel finale, mentre in "Apropos Of Nothing" la musique concrète viene approcciata osservando l'esempio del Miles Davis del discusso "On The Corner" (1972), "The Slowest Rendition" ha il sapore dell'epopea sensuale e drammatica, come se i Roxy Music fremessero di minimalismo e vuoti pneumatici. 

L'ispirazione dei The Dream Syndicate, dunque, non conosce paletti, né fine: elisir compositivo che colpisce anche "The Universe Inside", ennesimo gioiello di una carriera ineccepibile. E spiazzante, naturalmente.




01. The Regulator
02. The Longing
03. Apropos Of Nothing
04. Dusting Off The Rust
05. The Slowest Rendition

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool