Sabaton
The Great War

2019, Nuclear Blast
Power Metal

I Sabaton corrono lungo le trincee del Fronte Occidentale, proseguendo, indefessi, la loro encomiabile missione di aedi della Storia. Monolitici ed efficaci.
Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 17/07/19

I Sabaton, oramai, lavorano in modalità di funzionamento automatico. Dopotutto, la band scandinava, appassionata di tematiche militari, è divenuta, col tempo, una delle maggiori formazioni della scena heavy contemporanea. Malgrado le accuse, spesso infondate, di flirtare con idee scioviniste, i nostri non battono certo in ritirata, somministrando agli ascoltatori l'ennesimo plot di ispirazione bellica. Questa volta tocca alla Prima Guerra Mondiale finire sotto la lente di ingrandimento degli svedesi: i numerosi episodi di eroismo rappresentano gli ingredienti principali dei testi, ma l'aspetto cupo e tragico del conflitto non viene comunque trascurato.
 

"The Great War", dunque, costituisce il primo album registrato con il nuovo axeman Tommy Johansson, chiamato a sostituire un pilastro quale Thorbjörn Englund. Il contributo del chitarrista di ReinXeed e Majestica, in teoria, avrebbe potuto influenzare positivamente il processo compositivo del gruppo: in realtà la formula non varia di molto e bisogna scavare a fondo tra i solchi del disco per coglierne sfumature e sottigliezze.

 

"The Future Of Warfare", attraversata da clangori industriali, abbondanti trine di tastiera e cori giganteschi, introduce l'opera con magnificenza, un po' come "Sparta" in apertura di "The Last Stand" (2016). "Seven Pillars Of Wisdom" testimonia quanto i pochi elementi hard rock della musica del quintetto di Falun vengano sgretolati da eruzioni power praticamente ininterrotte. Una volta, poi, che il piede si solleva dal pedale dell'acceleratore, la fanno da padrone i mesti ritornelli di "The Attack Of The Dead Man", quelli omerici di "Fields Of Verdun", le note dell'organo Hammond di "The Red Baron".

 

Il combo assume un'altra dimensione quando abbandona l'ingenuo slancio epico, in alcun frangenti al limite dell'happy metal, a favore di un approccio più grave e atmosferico: atteggiamento visibile soprattutto nella buia "Great War", in cui la voce profonda e imperiosa di Joakim Brodén, supportato da un wall of sound davvero impressionante, riesce a conferire drammaticità agli eventi narrati. L'ambiguità macabra che permea la tirata "Ghost Of Trenches", il pathos pacifista di "The End Of The War To End All Wars", accresciuto dalla presenza di pianoforte e violoncello, e il commovente canto polifonico di "In Flanders Field", completano un lotto che nella seconda parte gode di una scrittura adulta e consapevole, pur muovendosi sui consueti territori stilistici.

 

Le campagne di Lawrence d'Arabia, la battaglia della fortezza di Osowiec, le imprese volanti di Manfred Albrecht Von Richtofen: i Sabaton, in "The Great War", corrono lungo le trincee del Fronte Occidentale, proseguendo, indefessi, la loro encomiabile missione di aedi della Storia. Monolitici ed efficaci.





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