Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando i Black Stone Cherry, all'epoca meno che ventenni, esordirono suonando nella palestra di una scuola. Ma nel corso della propria carriera, di album in album, il quartetto ha conservato la stessa foga che da anni li contraddistingue. Questa attitudine viene confermato anche nel nuovo album "The Human Condition", che arriva a soli due anni dal precedente "Family Tree", rivedendone comunque diversi aspetti.
Rispetto ai lavori più recenti, "The Human Condition" presenta una maggiore aggressività nei suoni, come in alcuni passaggi particolarmente ruvidi e più vicini all'alternative metal che al blues. Come raccontato dal bassista Jon Lawhon ai nostri microfoni, molti dei brani che compongono questo lavoro risalgono a session del passato e, dopo essere messi da parte per scarsa attinenza con altri album, sono stati recuperati e completati. Il disco si differenzia anche nella registrazione (non più live) e una produzione più pulita e quindi più funzionale ai pezzi proposti. Quello che invece rimane intatto è l'entusiasmo dei quattro e la formula proposta, che varia tra riff taglienti e corposi e ritornelli da singalong, intervallati da pura melodia.
L'opener "Ringin' In My Head" (introdotta da un verso che può sembrare quasi profetico se si considera il momento che sta vivendo il mondo) mostra immediatamente i muscoli, così come "Push Down & Turn", che affronta il delicato tema della salute mentale. Riff veloci e adrenalinici si ergono sopra la sezione ritmica, con un John Fred Young come sempre sugli scudi, che consuma senza sosta pelli e bacchette. Sulla stessa lunghezza d'onda troviamo anche "Ride" e "The Chain", con assoli al fulmicotone e riff prepotenti, cavalcati alla perfezione dalla performance vocale di Robertson, sempre più marchio di fabbrica del sound della band. Il quartetto si concede anche un po' di zucchero, senza mai perdere la propria identità, in brani come "In Love With The Pain" e "When Angels Learn To Fly", mentre il resto del lotto equilibra bene le varie componenti, senza cadere in nessun passo falso.
I Black Stone Cherry non sorprendono, ma probabilmente sarebbe sbagliato aspettarsi sorprese da una band rimasta sempre coerente e che fa di questo uno dei propri punti di forza. Il quartetto infatti, con ormai alle spalle quasi 20 anni di carriera, è perfettamente consapevole dei propri mezzi e di quello che è in grado di fare meglio. Il risultato è un lavoro in cui alcuni aspetti e modalità di registrazione vengono leggermente rivisti, riuscendo comunque a donare una sensazione di freschezza che giova alla buona riuscita dell'album.