The Moondoggies
A Love Sleeps Deep

2018, Sub Pop
Folk/Psych Rock

I Moondoggies tornano con un album carico di amore e passione, diretto e piacevole.
Recensione di Federico Barusolo - Pubblicata in data: 06/04/18

Seattle è una città enormemente famosa per il proprio panorama musicale, che oggi vive soprattutto dell'ondata grunge della quale agli inizi degli anni '90 è stata senza dubbio il principale focolaio. Proprio da lì, dall'angolino più estremo del nord-est americano, questo genere ha preso la forma di una vera e propria tendenza, conquistando in brevissimo tempo gli Stati Uniti e il mondo intero. Ma la scena di Seattle è un qualcosa che vive e produce attivamente musica da generazioni ben più antiche, che affondano le proprie radici nella gloriosa tradizione folk del west americano.


I Moondoggies sono quello che potremmo definire un gruppo fortemente legato all'eredità più antica della propria città (Seattle, appunto) e allo stesso tempo figlio delle contaminazioni psichedeliche di origine più tipicamente britannica, come quelle di Beatles e, soprattutto, Pink Floyd. "A Love Sleeps Deep" è un album che arriva nel 2018, a cinque anni dal precendente "Adios I'm A Ghost", ma parla a tutti gli effetti di un'epoca decisamente diversa, che piomba addosso a partire dall'avvio in medias res di "Easy Coming". L'opener, oltre a mettere bene in chiaro da subito il mood e le sonorità del disco, è un perfetto esempio di come le già citate influenze floydiane (udibili soprattutto nel basso) si uniscano alla tradizione psych (viene da pensare, ad esempio, al conterraneo Jimi Hendrix) in un contesto tipicamente folk-rock.


Kevin Murphy, voce e chitarra dei Moondoggies, canta dal profondo della sua anima e affronta diverse tematiche, tutte collegate al concept di un amore turbato, quasi rabbioso. L'amore è affrontato a 360 gradi, da quello genitoriale a quello paterno, passando, ovviamente, da quello coniugale, ma sempre facendo trapelare una sorta di turbamento, di intima insofferenza, che nasce dai testi e viene alimentata in particolar modo dal suono cupo delle tastiere di Caleb Quick. Altro elemento fortemente malinconico che si percepisce tra le varie texture messe in piedi dalla band sono gli arpeggi di pezzi come "Match" e "Sick In Bed", che catturano alla perfezione l'atmosfera generale dell'album.


Quasi tutti i brani danno la sensazione di essere tratti da ben più lunghe jam strumentali, in cui l'emozione ha spesso la meglio sulla tecnica o l'attenzione per il dettaglio. Ciò ha da un lato il vantaggio di costruire molto bene il disco da un punto di vista tematico, ma anche la pecca di svelare qualche traccia un po' più banale, come avviene nel caso di "Cinder". In generale, però, la composizione e la disposizione dei pezzi rende l'ascolto abbastanza piacevole, in particolar modo grazie a qualche perla come "My Mother" e qualche momento più diretto come "Soviet Barn Fire", decorata con accattivanti riff di chitarra.


"A Love Sleeps Deep", in conclusione, prende una direzione un po' più precisa rispetto alla un po' più vasta gamma di sonorità che i Moondoggies avevano esplorato con "Adios I'm a Ghost", ma rimane tutto sommato nei confini tracciati dalla band fino a questo momento. La ricerca del capolavoro o dell'immediatamente riconoscibile non è nelle corde di questi ragazzi, che però si accontentano di rilasciare un lavoro onesto e perfettamente indicativo di un preciso stato d'animo interiore, otto tracce che scorrono piacevoli senza particolari intoppi o cali di tensione.





01. Easy Coming
02. Cinders
03. Match
04. Sick in Bed
05. Soviet Barn Fire
06. My Mother
07. Promises
08. Underground (A Love Sleeps Deep)

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