In particolare, nell'APP cifra identificativa era l'uso (o secondo alcuni, l'abuso) del pastiche stilistico che trae linfa dalla transcodifica dei generi tradizionali. Manierista, nel senso alto e positivo del termine. Anche in "The Secret", il pastiche e il sincretismo non mancano: dato il concept dedicato a magia, stregoneria e prestidigitazione, si parte dalla maestosa rilettura di parte del poema sinfonico l'"Apprendista Stregone" di Paul Dukas (1897), arrangiata per rockband e orchestra; si approda ai consumati lidi di classici midtempo, come "Miracle" (di cui segnaliamo i fraseggi di basso slap e Jason Mraz alla voce) e la crepuscolare "As Lights Fall" che richiama i Fleetwood Mac, altra band chiave del periodo di cui sopra; "One Note Symphony", col suo andamento orchestrale, è tra i brani più suggestivi e sembra riappropiarsi di un classico del pop anni '50 - '60, la one note song, senza gli intenti parodici de "La Canzone Mononota" di Elio E Le Storie Tese, ma con una buona dose di ironia che ne attenua la carica utopica e autoreferenziale (le voci robotizzate, la citazione finale della Terza Legge di Clarke: «Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia» rimandano al capolavoro "I, Robot"). Dopo diversi ascolti, il lavoro si colloca agevolmente sulle tracce del fascino di classici come "Eye In The Sky" o "The Turn Of A Friendly Card", tenendo presente che i midtempo costituiscono l'ossatura dei lavori di Alan Parsons insieme alle rock ballad, come "Soirée Fantastique", l'ultraromantica "Sometimes", che occhieggia le canzoni d'amore di Elton John, e "Fly To Me" innervata di echi betleasiane. Segue poi il delizioso pastiche rock/bebop di "Requiem"; il che ci ricorda un'altra influenza di Alan Parsons, ovvero l'operetta e il suo più diretto discendente, il musical. Il disteso assolo di chitarra di "Years Of Glory" evoca invece IL nume tutelare per eccellenza: i Pink Floyd. Serve ricordare qui che Parsons esordì nel mondo musicale come sound engineer del monumento "The Dark Side Of The Moon" e che a lui si deve il rivoluzionario uso delle sovraincisioni e la straordinaria resa sonica che è parte integrante del miracolo di quel disco. "The Secret" si chiude sulle stesse movenze iniziali: con "The Limelight Fades Away" si torna al midtempo e si chiude in ballad con "I Can't Get There From Here".
Se è relativamente facile inquadrare "The Secret" rispetto alla produzione dell'artista, lo è molto meno situarlo nel panorama musicale odierno, per varie ragioni: non siamo più nell'epoca d'Oro, non esiste nulla di paragonabile a quello che un tempo era rock mainstream, perché quel flusso principale si è diviso in migliaia di rivoli secondari di generi e sottogeneri e ciò che trentacinque anni fa profumava di nuovo oggi ha il sapore di un revival di nicchia, riservato ai pochi fedeli accoliti e in cui anche il pastiche di generi è divenuto ormai, a sua volta, genere e tradizione. Non intendiamo qui giudicare se sia più dignitoso invecchiare cercando di adattarsi ai tempi che cambiano (vedi i Black Sabbath o i Tangerine Dream) o mantenendosi con coerenza (o, a seconda dei punti di vista, con ostinazione) nei limiti tracciati negli anni ruggenti. Parsons ha il merito di non promettere più di ciò che può mantenere e di dirigere il suo volo su cieli ultracollaudati, per la gioia dei vecchi fan che troveranno qui di che rinverdire la propria passione. Per tutti gli altri, ne consiglieremmo l'ascolto con lo stesso spirito con cui si dovrebbe far visita a un'attempato parente altolocato: rispetto, consapevolezza della distanza, un briciolo di condiscendenza e senza pretendere ciò che non si può. Così è "The Secret": elegante, degno di rispetto e deliziosamente inattuale.