I Ninenties hanno lasciato il segno sotto molti aspetti nelle leve musicali del Terzo millennio; all'epoca, la crisi dei generi tradizionali portò numerose band ad allontanarsi dai lidi sicuri del mainstream verso le sperimentazioni e le fughe dell'underground. Ascoltando il quarto ed ultimo album dei britannici Feed The Rhino, la sensazione è che quel decennio non sia passato artisticamente invano, ma abbia gettato invisibili semi nel futuro.
La proposta del gruppo prende le mosse dall'alternative di act come i Deftones, o addirittura dal grunge degli Alice In Chains. I britannici in quest'ultimo lavoro "The Silence" danno infatti grande risalto al cantato, merito della versatilità del singer Lee Tobin, che passa con disinvoltura dal melodico allo scream. Si avverte inoltre l'influsso di band piuttosto lontane dall'alternative/grunge, come i Gallows e, per certi versi, il southern dei Down: davvero tanti ingredienti in pentola.
Così si passa da brani aggressivi come "Timewave Zero" e "Heedless", a pezzi più emotivi ed intimisti come la successiva "Losing Ground" (sono i tre singoli apripista del disco), con aperture deftonesiane nei refrain e affondi scream nel ponte, in cui la somiglianza ai modelli si fa evidente. "68" è tra i pezzi più interessanti del versante aggressivo, almeno quanto la successiva "All Work and No Play..." dall'andamento nervoso e sincopato.
L'hardcore/metal dei primi album, semplice e diretto, si arricchisce di nuove suggestioni; per certi versi, la melodia ha molto più peso che nei lavori precedenti (e infatti è molto più presente il cantato pulito) ma, nel caso dei Feed The Rhino, la scelta non compromette la carica della loro proposta. Con "Yellow And Green" siamo nuovamente in visita al pianeta Deftones (con forse un occhio ai primi lavori dei Torche) la cui influenza è forse davvero un po' eccessiva sul songwriting della combo, ma a correggere la sensazione di "già sentito" arriva la successiva "Nerve Of A Sinister Killer", che gioca sul larsen degli armonici distorti, espediente caro all'industrial/noise di inizio millennio.
A metà disco, la sensazione generale è che le influenze della band siano parecchie, stratificate ma non del tutto amalgamate e metabolizzate in uno stile davvero personale.
"Fences", la successiva "The Silence" (le cui dinamiche ci ricordano i Disturbed di "The Sickness") e "Lost In Proximity" non tolgono né aggiungono molto a quanto sentito nella prima parte del disco: riff catchy, compressi e sincopati gli arrangiamenti della strofa, aperture e melodia nei refrain. Alla lunga però la formula mostra un poco la corda. L'album ci lascia con l'assalto conclusivo di "Featherweight" e la sensazione che i nostri sappiano il fatto loro, ma non abbiano ancora definito uno stile davvero proprio. Bene, dunque, ma senza troppo entusiasmo. Forse emanciparsi un poco dai modelli darebbe loro più pepe.